Chiara
Madaro
A
volte gli eroi al comando sono solo nella fantasia di chi ci vuole credere. Ma
quando ogni velo scivola via, mostra realtà desolanti.
E’ il
caso di Yasser Arafat, nome di battaglia Abu Ammar, morto in una clinica di
Parigi l’11 novembre del 2004.
Un
personaggio il cui percorso, ancora oggi, fa discutere. Leader storico
dell’Autorità Palestinese, un tempo nota come OLP, Organizzazione per la
Libertà Palestinese, Arafat ha incarnato il classico personaggio che si fa
scudo di un popolo intero e del potere di un’ideologia, per raggiungere obiettivi
del tutto personali.
La
vastità di questi interessi è tale che possono essersi realizzati solo
disponendo di alte coperture ad ogni livello malgrado la brutalità di un regime
terrorista.
D’altra
parte “(…) faceva parte del disegno che l'autorità palestinese fosse brutale,
repressiva e corrotta – secondo il politologo Noam Chomsky - questo è esattamente
ciò che Israele e Stati Uniti volevano, ecco perché Arafat piaceva (…). E
se Arafat rubava denaro europeo o la sua Autorità viveva in ville lussuose a Gaza
mentre la popolazione moriva di fame, andava bene, purché facessero il loro
lavoro, controllare la popolazione e assicurare che fosse stabilita una
dipendenza neo-coloniale da un lato, dall’ atro assicurarsi che quelli che contavano non fossero danneggiati”[1].
Un
punto di vista confermato dalle evidenze nel 2013, quando Wiki Leaks ha
pubblicato 1,7 milioni di cablogrammi del Dipartimento di Stato statunitense
risalenti agli anni tra il 1973 e il 1976 e, finalmente, declassificati.
I
cablo fanno parte dei cosiddetti ‘Kissinger Cables’ e mettono in luce come
Arafat ricoprisse un ruolo centrale nella strategia statunitense pensata per i
paesi del Vicino Oriente. Il giornalista d’inchiesta Lee Smith ha avuto la
pazienza di studiare quella documentazione e riportarne il contenuto. Secondo
Smith: “I diplomatici statunitensi sapevano che Arafat era un terrorista e che
era responsabile non solo della morte di israeliani, ma anche di altri
diplomatici americani, come l'ambasciatore Cleo Noel, assassinato a Khartum nel
1973 su ordine di Arafat. Ma
Washington ha trascurato quei fatti per vincere quello che percepiva,
giustamente, come un gioco molto più grande: la Guerra Fredda.
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| Henry Kissinger |
Durante gli anni
di Kissinger – continua Smith - ciò che contava di più in Medio Oriente per gli
Stati Uniti era il Golfo Persico, a causa delle sue vaste risorse
energetiche. Il Mediterraneo orientale era importante solo nella misura in
cui costituiva un altro luogo di scontro con i sovietici. Di conseguenza,
Kissinger vedeva gli israeliani come un alleato strategico in grado di
sconfiggere i possedimenti sovietici, incluso l'Egitto, che dopo la guerra del
1973 passò, infatti, dal campo sovietico a quello americano. Ma il fatto
che Israele fosse un prezioso alleato americano – conclude il reporter nella
sua analisi - non significava che Washington avrebbe voltato le spalle a figure
arabe in grado di servire gli interessi americani più grandi, contrastando le
ambizioni regionali di Mosca. I cablo mostrano che gli americani
desideravano avere Arafat dalla loro parte”[2].
Arafat
era considerato motivo di equilibrio a causa della guerra civile in Libano
(antica provincia siriana) dove i profughi palestinesi si erano riversati a
causa delle persecuzioni israeliane tra il 1948 e il 1975[3]
. La guerra del Libano, che durò tra il 1975 e il 1990, fu innescata dal timore
della componente cristiana di passare in minoranza a causa della quantità di
arabi palestinesi che si riversava nel paese. Si calcola che nel ‘75 vi fossero
circa 300 mila palestinesi in Libano. Sapere che la Palestina era guidata da un
leader carismatico che proteggeva gli interessi della patria, costituiva, per i
cristiani, motivo per credere che, prima o poi, la componente araba avrebbe
fatto ritorno nelle proprie case, nelle proprie terre, e gli equilibri si
sarebbero ricostituiti.
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| La second guerra Israeliana contro il Libano |
Contemporaneamente,
nel 1974, in seguito alla guerra del Kippur e all’invasione delle alture del
Golan da parte di Israele, anche la Siria iniziò a cercare di ampliare la
propria influenza sul Libano, mentre cresceva l’intolleranza del Libano contro Israele.
Insomma, una vicenda complicata in cui tutti erano contro tutti. Le fronde non
accennavano a placarsi per cui soprattutto gli Stati Uniti, che avevano fatto
promesse a destra e a manca pur di assicurarsi una sorta di ‘diritto di
primogenitura’ sulle riserve fossili di cui l’area in questione era ricca,
intendevano porre fine all'attuale conflitto arabo-israeliano. Il timore che una
marcata conflittualità potesse danneggiare il loro prestigio agli occhi degli
alleati aveva a che vedere con la possibilità che questi, alla fine, avrebbero
potuto invertire la rotta e firmare con Mosca. Kissinger e il suo
Dipartimento di Stato credevano che la risoluzione di questo conflitto sarebbe
stato ben visto dagli amici arabi e al tempo stesso avrebbe danneggiato i
sovietici. In quest’ottica, Arafat era
il loro asso nella manica.
Ed è
in questo quadro che si inserisce il viaggio a Beirut nel 1976
del Senatore del Maryland Charles “Mac” Mathias e il suo incontro con
Yasser Arafat. In cambio Arafat voleva il supporto statunitense nei
confronti del ‘concetto di ‘Autorità Nazionale’ Palestinese nella West Bank e
nella striscia di Gaza, oggi controllate da Israele[4].
L’obiettivo di Arafat era di realizzare un unico stato palestinese che comprendesse
Cisgiordania e Gaza. Sebbene sia Israele che Giordania, ritenevano assurda la
richiesta di Arafat, il Primo Ministro israeliano Rabin, in particolare,
escludeva qualsiasi trattativa con Arafat. Quest’ultimo fu, comunque, esaudito
e due decenni dopo l’OLP, effettivamente, viene riconosciuto come Autorità
Nazionale.
Dai
cables non risulta con chiarezza fino a che punto gli israeliani avessero
compreso il gioco ma, secondo Smith, è certo che sapessero come il capo
dell’intelligence di Abu Ammar, Ali Hassan Salameh, una delle menti del
massacro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, fosse una
risorsa della CIA. La verità è che il cosiddetto Principe Rosso è stato
molto più che significativo per le relazioni tra Stati Uniti e Arafat. In
quanto loro intermediario, ricopriva un ruolo chiave e le sue funzioni
istituzionali e militari, erano un simbolo rispetto alla natura della loro
relazione.
D’altra
parte per gli Stati Uniti, la sussistenza di un regime terrorista con cui fare accordi,
non costituiva un ostacolo insormontabile: le guerre nel Mediterraneo e nel
Vicino Oriente non erano nulla in confronto alla guerra nucleare totale che si
prospettava in quegli anni. Anche dopo il massacro di Maalot del maggio 1974,
in cui membri del Fronte democratico per la liberazione dei palestinesi
uccisero 25 ostaggi israeliani, 22 dei quali bambini, l’ambasciatore americano
Goodley commentava come, davanti a quella terribile vicenda, sarebbe stato
prioritario capire cosa fosse in gioco nello scacchiere globale.
E’ per questo
che le forze statunitensi avevano tentato di portare i fedayyn più estremisti,
verso posizioni ‘moderate’, quindi non azioni violente ma dialogo e trattative
di tipo politico.
D’altra
parte la Dottrina Truman si basava sul concetto di ‘guerra perenne’,
riconcettualizzato dal successore Eisenhower in ‘complesso
militare-industriale’, ricorda il leggendario cronista d’inchiesta statunitense
Seymour Hersh[5].
Un
personaggio, però, che alla lunga è risultato indigesto anche a chi lo aveva
sostenuto in passato (Saddam). Già nei giorni precedenti il decesso si parlava
di un possibile attentato alla vita del leader palestinese che sembrano essere
confermate dai risultati di un’indagine pubblicata nel 2013 da Al Jazeera e
condotta in Svizzera. Secondo le fonti, i resti di Arafat contenevano quantità
insolitamente elevate dell'isotopo radioattivo polonio 210. All’epoca dei
fatti, gli scienziati che redassero il rapporto tennero a sottolineare come i
risultati cui erano giunti non erano conclusivi, ma "avanzano
moderatamente la proposta secondo cui la morte [di Arafat] fu la conseguenza
dell'avvelenamento da Polonio-210". Curiosa moderazione dato che si
parla di livelli 18 volte superiori rispetto al normale[6].
Senza
contare quanto riferito dal medico personale del leader palestinese, il dott.
Ashraf al-Kurdi, secondo il quale nel
sangue di Arafat era presente il virus dell’HIV sebbene non fosse morto di
AIDS. La notizia non ebbe, all’epoca, ulteriori approfondimenti: l’intervista
che il dott. Al-Kurdi stava rilasciando ad Al Jazeera, fu bruscamente
interrotta, secondo quanto riportato dal giornale israeliano on line Haaretz[7].
Una
delle possibili cause di un eventuale attentato riguardava i molti nemici che,
ormai, si contavano anche tra le fila di chi lo aveva storicamente sostenuto.
Il
Mossad israeliano, la CIA, il presidente siriano Bashar al-Assad (il cui padre,
Hafez, disprezzava Arafat), e persino i suoi più stretti collaboratori, lo
vedevano, ormai come un ostacolo alla pace o al mantenimento di equilibri
seppur formali nel Vicino Oriente. Perfino a Saddam Hussein, che aveva
contribuito economicamente e generosamente con le battaglie del leader, non
piaceva più. Nei suoi ultimi anni di vita, Saddam si riferiva nei confronti di
Arafat con toni offensivi e sprezzanti[8].
Meno
prudente di Al Jazeera è l’analista Chossudowsky[9], fondatore
di Global Research, il quale parla apertamente di omicidio.
Secondo
Chossudowsky esisteva, nei servizi americani, un’area dedicata alle operazioni extra-legali,
che operava in maniera del tutto autonoma senza riferire ad alcuno le
operazioni in atto. “Non riferiscono a nessuno – afferma Chossudowsky - tranne
ai tempi di Bush-Cheney, quando hanno riferito direttamente all'ufficio di
Cheney”. Neanche il Congresso ha una capacità di supervisione su quanto
viene deciso da quest’ala particolare che opera in ogni parte del mondo, nel
nome dell’ignaro popolo americano e della pace. Non si tratta, in realtà di
fatti legati al passato. “In recenti
sviluppi, a seguito dell'approvazione del Congresso degli Stati Uniti, il
presidente può ordinare l'assassinio "legale" di un cittadino
americano o di uno straniero, negli Stati Uniti e all'estero, teoricamente come
parte della "Guerra globale al terrorismo" - afferma l’analista - L'assassinio segreto
di leader stranieri è parte integrante di quella che viene eufemisticamente
chiamata "politica estera degli Stati Uniti".
Ma la
decisione di eliminare il leader arabo arrivò da Israele, secondo la
ricostruzione di Global Research: “Nel 2003, il gabinetto israeliano per
gli affari sulla sicurezza politica espresse "la decisione di rimuovere
Arafat come ostacolo alla pace". Ma non menzionò quando sarebbe stato
eseguito l'assassinio di Arafat: "sceglieremo il giusto modo e il momento
giusto per uccidere Arafat". La decisione del governo israeliano fu anche oggetto
di un dibattito in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di una
mozione a condanna della decisione di Israele di assassinare Arafat. Tale
decisione è stata approvata ufficialmente dagli Stati Uniti, che hanno posto il
veto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, conclude[10].
Ma la
morte non è servita ad apporre un punto finale alla vita e alle opere di Yasser
Arafat.
Un
anno prima dell’improvvisa e misteriosa malattia, iniziò a diffondersi la
notizia riguardante la deviazione di denaro pubblico su un conto privato
svizzero ( Lombard Odier Bank di Ginevra) da parte di Arafat. Si parla di
300 milioni di $ appartenenti all’Autorità palestinese, un conto che,
successivamente alla fuga di notizie, fu tempestivamente chiuso e di cui non si
ha traccia. La notizia fece seguito ad una ulteriore e singolare divulgazione
da parte del Fondo monetario internazionale, avvenuta nel settembre 2003,
secondo cui Arafat aveva deviato su conti privati oltre 560 milioni di sterline
di fondi dell'Autorità palestinese dal 1995 al 2000, mentre in un documentario
della BBC si iniziò a parlare degli ingenti fondi (50mila $ al mese) versati
dall’Autorità a beneficio di milizie armate di terroristi suicidi incaricati di
attaccare obiettivi israeliani[11].
Nello
stesso periodo anche l’Unione Europea iniziò a porsi degli interrogativi.
"Tra il 2002 e il 2003, l'UE ha pagato 10 milioni di euro ( circa 1,5
miliardi di euro in 10 anni) all'Autorità palestinese senza alcun
controllo", ha affermato Armin Laschet, all’epoca dei fatti, membro del
Parlamento europeo dell'Unione Democratica Cristiana e copresidente della
commissione di sorveglianza responsabile per gli aiuti palestinesi. ''[12].
Inevitabile
l’accusa di Israele secondo cui il denaro generosamente offerto dall’Unione
Europea e destinato al vessato popolo palestinese, fosse, in realtà, stato
utilizzato per finanziare il terrorismo ai danni di Israele. Una beffa se si
pensa che, proprio Tel Aviv contribuiva anch’essa economicamente con la
Palestina: in seguito agli zoppicanti[13] accordi
di Oslo firmati alla Casa Bianca nel 1993 si era stabilito che Israele avrebbe
incassato le tasse di vendita sui beni acquistati dai palestinesi e trasferito
quei fondi al tesoro palestinese.
E non
poteva, certo, mancare un po’ di peperoncino italiano. Nel 2018 l’Espresso[14]
pubblica in anteprima mondiale il contenuto dei diari di Arafat, 19 volumi
scritti a partire dal 1985 e terminati con l’improvvisa malattia, in ottobre
2004, quando lasciò Ramallah per essere ricoverato in un ospedale di Parigi
dove morì di lì a poco. Dai diari si apprende, ad esempio, che in cambio di un
riconoscimento pecuniario, Arafat confermò davanti ai giudici di aver ricevuto
dei finanziamenti da Berlusconi. All’epoca dei fatti il padre di Forza Italia
era sotto processo per finanziamento illecito al Partito Socialista di Craxi.
Non mancano neppure dettagli sulla trattativa con Andreotti in seguito al
dirottamento dell’Achille Lauro per mano di 4 terroristi palestinesi. In base
agli accordi, Andreotti consentì al terrorista Abu Abbas di fuggire in Tunisia
dalla Bulgaria. Dagli scritti autografi Andreotti, in particolare, viene
descritto come il mediatore occulto tra OLP e USA. Curioso il particolare, ma
forse neanche tanto, considerando l’evoluzione di altre dittature nel mondo,
secondo cui non era Arafat a decidere le strategie militari. Lui veniva
semplicemente informato di cosa sarebbe accaduto e, invariabilmente, benediceva
i vari atti terroristici. Lasciava ad altri il ‘divertimento’ dello sfogo
brutale. Un personaggio che, alla fine, diventa vittima di se stesso e quello
che rappresentava.
Sotto
accusa anche la moglie Suha, accusata di riciclaggio dalla gendarmeria francese
la quale avrebbe appurato la ricezione di oltre 1 milione di $, 100mila dollari
al mese, sui suoi conti personali svizzeri la cui fonte rimane ancora non
chiarita[15].
Un
colpo ai danni della credibilità di un leader e di un movimento che si dice
nazionalista in un paese stremato da anni di guerre.
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| Salam Fayyad |
Un
colpo che ha permesso alla Banca Mondiale di entrare nel cuore finanziario
dell’Autorità. La fuga di notizie ha, ovviamente, scatenato la folla contro il
suo eroe e la corruzione del regime, per cui Arafat si è trovato costretto a
nominare ministro delle finanze il tecnocrate Salam Fayyad, ex funzionario
della Banca Mondiale, con l’obiettivo di risanare il libertinaggio finanziario
dell’Autorità.
Forse
qualche leaks, più in là, svelerà come mai né i più potenti servizi di
intelligence internazionali, né i più severi controllori finanziari si fossero
accorti prima di dove andasse a finire quel denaro.
Rimangono
i molti interrogativi di questa vicenda. Uno su tutti: fino a che punto è
giusto abbandonarsi a quell’istinto infantile della guerra per bande e parteggiare
per questa o quella fazione? Che senso ha, se gran parte di quello che avviene
negli arcana imperii contraddice le nostre credenze? Che senso ha continuare a spendere
energie a pensare ‘contro’ qualcosa o qualcuno piuttosto che a capire dove sia
il guasto e porvi, finalmente, rimedio?
[6] Michel Chossudowsky,
‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7
marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[7] Danny
Rubinstein , 12 Ago 2007, ‘Arafat's
Doctor: There Was HIV in His Blood, but Poison Killed Him’, in: https://www.haaretz.com/1.4961243
[9] Michel Cossudowsky, ‘The Assassination
of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global
Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[10]
Michel Cossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the
Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[14] Lirio Abbate, “Esclusiva mondiale, i
diari segreti di Arafat: Craxi, Andreotti e i fondi neri di Berlusconi” , 2
febbraio 2018, In: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/02/02/news/esclusiva-mondiale-i-diari-segreti-di-arafat-craxi-andreotti-e-i-fondi-neri-di-berlusconi-1.317886






























