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martedì 13 agosto 2019

Antisiniosmo vs antisemitismo e le trappole dell'imperialismo dal volto umano






Chiara Madaro

Il ruolo degli intellettuali e delle scienze umanistiche, alla berlina in quanto inutili e improduttive, hanno, invece, una funzione fondamentale nel disperdere le brume cognitive accumulate nelle ‘congiunzioni astrologiche’ contemporanee.
Diventano indispensabili alcuni focus su realtà che, viaggiando su banda larga, appaiono cristallizzate favorendo la creazione di infiammazioni culturali, generando incomprensioni, alimentando confusione. Molte di queste realtà, invece, evolvono in funzione del contesto geopolitico in cui si trovano. La cronaca di ogni giorno assolve alla funzione di mostrarci lo stato acuto di quella realtà, ma non le radici e le risorse  cui attinge per crescere in superficie. A questo servono gli intellettuali i quali, per definizione, dipanano i garbugli della mente. 
E’ il caso della confusione generata nel corso dei decenni intorno ai concetti di antisemitismo e antisionismo. Questi termini vengono spesso usati come se avessero un significato intercambiabile.

Prof. Sai Englert, Sussex University
Lo storico e accademico Sai Englert[1] spiega che per antisemitismo si intende l’atteggiamento o gli atti di offesa ai danni di persone ebree, solo per il fatto di essere ebree usando, magari, luoghi comuni come l’avarizia, come il fatto che governino il mondo o le banche. Al contrario si parla di antisionismo in presenza di una ideologia politica che, come suggerisce il nome, si oppone al Sionismo.
Il Sionismo è, infatti, un movimento politico nato in un momento drammatico per l’Europa e per il mondo intero, tale per cui si pensò che l’unico modo che gli ebrei avevano per sfuggire all’antisemitismo, fosse costruire un proprio Stato. Questo Stato fu costituito in Palestina a spese del popolo che già viveva in quelle terre, i palestinesi. Nel 48 iniziarono le espulsioni di oltre 700mila palestinesi e la distruzione di oltre 400 villaggi. Si tratta di ingiustizie che si perpetrano ancora oggi con l’espansione degli insediamenti nella West Bank, il blocco della Striscia di Gaza, o attraverso le oltre 60 leggi indirizzate specificamente ai cittadini palestinesi di Israele. Questi interventi militari sono tutti ancora operanti nel nome del Sionismo.

Un giovane ebreo ortodosso antisionista durante una manifestazione a Londra
Dunque, cosa chiede l’antisionismo? Che ogni abitante della Palestina, ebrei, musulmani, cristiani, palestinesi e non, abbiano i medesimi diritti, quale che sia la propria religione, razza o etnia. E’ una richiesta che sia il movimento Sionista che lo Stato di Israele, continuano a rifiutare.
Sfortunatamente oggi l’antisionismo è confuso con l’antisemitismo. Ma dovrebbe essere chiaro che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Se il primo rifiuta l’idea di uno stato suprematista etnico o religioso in Palestina, il secondo odia gli ebrei per il fatto di essere ebrei. Ma confondere i piani di antisemitismo e antisionismo, comporta una serie di assunzioni che non dovrebbero mai essere accettate. In primo luogo che ogni ebreo è sionista o che i sionisti parlino per esprimere il pensiero di tutti gli ebrei. Un’idea che per lo storico Englert è profondamente razzista. Infatti essa assume che un intero gruppo di persone possa essere semplificato sotto un’unica banda ideologica. Niente di più lontano dalla realtà. Israele non rappresenta il punto di vista di tutti gli ebrei.
Molti ebrei nel mondo sono antisionisti per motivi politici o religiosi, mentre altri semplicemente conoscono molto poco a riguardo e non hanno un’opinione. In secondo luogo l’idea che tutti i sionisti siano ebrei. Ancora una volta nulla di più lontano dalla realtà. Ad esempio, ci sono molti cristiani sionisti, soprattutto negli Stati Uniti, mentre molti politici o partiti politici in occidente, sono sionisti.



Non ha nulla a che vedere con l’ebraismo ma molto a che vedere con la politica estera e con la stretta alleanza tra i loro paesi con Israele.
Infine, la sovrapposizione tra le due idee, spesso assume che il sionismo colpisca solo gli ebrei. Questo approccio, spesso ripetuto nel dibattito corrente, cancella il fatto che la principale vittima del movimento sionista è stato e continua ad essere il popolo palestinese. Il rifiuto palestinese del sionismo, la richiesta di uguali diritti e il desiderio di poter tornare alle case da cui sono stati espulsi, non ha nulla a che vedere con l’ebraismo o gli ebrei in ogni caso. Invece ha tutto a che vedere con l'opposizione al progetto di insediamento coloniale che continua a togliere possesso e opprimere i palestinesi nelle proprie terre.


L’antisionismo è, prima di ogni altra cosa, una forma di solidarietà con le richieste di un popolo colonizzato che continua a lottare per la sua libertà. Vi è un semplice eppure potente principio: che gli stati non saranno liberi finchè tutti non otterranno di essere liberi. In questo senso la battaglia contro l’antisemitismo e la battaglia contro il sionismo sono la stessa cosa. Sono entrambe battaglie contro oppressione e razzismo, contro la supremazia etnica. In una parola contro l’ingiustizia. Secondo il vecchio slogan: l’antisemitismo è un crimine, l’antisionismo un dovere, conclude il Prof.Englert.
Riflessioni che oggi appaiono urgenti sebbene già alcuni decenni fa abbiano avuto tribune e interpreti preziosi. Come il leader burkinabé Thomas Sankara il quale, in un discorso alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1984, prese posizioni nette contro l’arroganza militare israeliana, ponendola sullo stesso piano della deplorevole esperienza sudafricana dell’Apartheid.  

Nelson Mandela, movimento anti Apartheid
Riflessioni che, come ricordava l’accademico Englert, appartengono anche a personalità intellettuali di spicco, come il linguista e politologo ebreo Noam Chomsky, cui nel 2010 è stato negato il visto dalla autorità israeliane a causa delle posizioni antisioniste assunte negli anni. 
Chomsky nota che, in effetti, negli anni 70 e 80 l’establishment israeliano guardava con attenzione a quanto accadeva in Sudafrica con l’Apartheid. L’obiettivo consisteva nel riproporre anche in Palestina il medesimo modello. In quegli anni, ricorda l’intellettuale, il Sudafrica era alleato di Gran Bretagna e Stati Uniti che guardavano a Mandela e al Congresso nazionale africano come ad una delle maggiori organizzazioni terroristiche del mondo.
“È facile (e nemmeno gratificante) criticare e condannare i crimini degli altri. È un po' più difficile guardarsi allo specchio e chiedersi cosa si stia facendo, perché, di solito, non è un’esperienza molto carina. E se abbiamo una pur minima decenza, proveremo a fare qualcosa al riguardo” – dice Chomsky nel corso di un’intervista[2].
Il linguista e politologo ebreo americano Noam Chomsky
Chomsky critica i tentativi di chi tenta di chiarire al mondo come non esista differenza tra antisemitismo e antisionismo. Un tentativo che ha l’evidente proposito di zittire chiunque abbia uno sguardo critico in merito alle politiche imperialiste statunitensi su territori ricchi di fonti di energia fossile. Mettere sullo stesso piano antisionismo e antisemitismo consentirà, infatti, di partire all’attacco delle menti più critiche accusandole di nazismo e quindi zittendole. Per Chomsky, d’altra parte, la cosiddetta questione israelo-palestinese dovrebbe essere chiamata per quello che è, ovvero una questione USA/Israele contro la Palestina. Una storia in cui è coinvolto anche il Regno Unito in quanto partner privilegiato degli Stati Uniti. 

Così come, “(…) tecnicamente, la lobby ebraica, in realtà, non è una lobby ebraica, è una lobby filo-israeliana. Una parte sostanziale della lobby è costituita da fondamentalisti cristiani che negli Stati Uniti sono una forza molto importante. Gli Stati Uniti sono una delle culture più fondamentaliste del mondo”, afferma Chomsky.
Per questo, rispetto al tema in oggetto, è possibile rintracciare personaggi che incarnano il fondamentalista cristiano antisemita che è contemporaneamente un forte sostenitore dell’oppressione e delle atrocità israeliane. Più che una contraddizione è un potere politico vero e operativo. Il motivo, osserva Chomsky, come ogni cosa in quell’area del mondo, è il petrolio. 
Palestinesi lanciano pietre con la fionda oltre un muro divisorio
La sproporzione di quanto avviene ai danni del popolo palestinese viene rivelata attraverso un racconto apparso sulla stampa e riguardante i giorni dell’Intifada nel settembre 2000. Nei primi giorni, Israele esplose un milione di proiettili. Eppure il fuoco alla miccia fu dato dal lancio di pietre di alcuni ragazzini palestinesi. Chomsky racconta di un funzionario palestinese, il quale per mostrare ad un visitatore europeo come funzioni da quelle parti, fece esplodere un colpo dalla sua guardia del corpo: seguirono due ore di mitragliate. Nei giorni dell'Intifada il rapporto tra i decessi fu di 20:1, 75 palestinesi su 4 soldati israeliani. Gli Stati Uniti fornirono, poi elicotteri da guerra che vennero usati contro obiettivi civili. Questo il bilancio di una pesante risposta al lancio di pietre.
“Gli Stati Uniti, denuncia Chomsky, hanno reagito ufficialmente. Il 3 ottobre 2000, l'amministrazione Clinton ha fatto il più grande affare in 10 anni inviando nuovi elicotteri militari in Israele, insieme ad altre munizioni per gli elicotteri Apache Attack (…) Non è che non sapessero per cosa li stessero usando, lo si poteva leggere sui giornali.  
Le violenze hanno avuto delle escalation anche in anni più recenti

 Li stavano usando per attaccare e uccidere civili. Ma avevano bisogno di più armi perché un milione di proiettili nei primi giorni non era abbastanza, quindi dovevamo inviare loro elicotteri e missili d'attacco”, afferma ironicamente  e puntando l’indice anche contro gli alleati, rei di non aver alzato un dito per arrestare l’eccidio.
D’altra parte, per il politologo, Israele altro non è se non un ramo del Pentagono, un esercito con uno Stato. Un esercito che, tatticamente sceglie le forze aeree per attaccare più efficacemente i civili e fiaccarne la controffensiva o la capacità di difesa. Polemicamente dice: “Una volta che gli Arabushi (termine ebraico per ‘negri’) vengono abbattuti e non alzano più la testa il politico parlerà dal palco della cosiddetta ‘diplomazia’”.
Questa foto rappresentò la 2^Intifada
Si deve avere il coraggio di guardarsi allo specchio, uno sforzo non di poco conto per chi ha creduto nel progetto di Israele assistendo ad una imprevista trasformazione in senso imperialista.
Una posizione che ha compromesso le relazioni con i luoghi natii per cui nel 2010 gli è stato negato l’accesso in Israele[3].
Non si tratta di posizioni isolate: “Siamo storici ebrei americani ed è per questo che ci siamo lasciati il sionismo alle spalle”[4], affermano due accademici sul giornale ebraico on line Haaretz.
“Quando mi è stato chiesto di partecipare come delegato alla piattaforma progressista Hatikva durante il Congresso sionista mondiale del 2010, ho incontrato il mio personale Rubicone, racconta la Prof.ssa Diner, era la linea che non potevo oltrepassare”. In ballo c’era la richiesta di firmare il ‘Programma di Gerusalemme’, una dichiarazione di principi in cui viene affermata la centralità dello Stato di Israele e di Gerusalemme come capitale del popolo ebraico, si nega la diaspora, e questo comporta la fine di una vita da ebrea fuori dalla patria israeliana.  

Il documento chiede anche di volere un rafforzamento dello Stato di Israele ebreo e sionista. “(…) la singolare insistenza su Israele come stato ebreo e sionista mi ha fatto capire che, almeno alla luce di questo documento, non potevo più definirmi sionista. Gli ebrei costituiscono una razza o un'etnia? Uno stato ebraico significa uno stato razziale?” osserva Diner secondo la quale, l’opera di omogeinizzazione dell’azione sionista ha decretato la morte per una gran quantità di culture ebraiche. Il sionismo socialista che ancora nei primi anni 70 ha costituito la base intellettuale per molti giovani ebrei è, nel corso degli anni, radicalmente cambiato per virare decisamente a destra, su posizioni sempre più estreme, colonialiste e razziste, occupando in maniera sempre più violenta i territori già abitati dai palestinesi.
 Del medesimo avviso la Prof.ssa Marjorie Feld. Come molti ebrei, ancora negli anni 80, pensava che l’unico modo per proteggere la cultura ebraica in un mondo fondamentalmente razzista, fosse lo Stato di Israele. Negli anni dell’università, lo scontro con le prime critiche al sionismo, soprattutto in ambienti di sinistra. Il sionismo veniva vissuto come qualcosa di razzista, colonialista e militarista. Prendere coscienza della realtà ha permesso l’emersione di una contraddizione fondamentale: “Come poteva Israele essere l'antidoto al genocidio quando era il prodotto dell'imperialismo e della pulizia etnica?”.
Ancora attuale l’invito del Presidente Sankara a ragionare e trovare soluzioni condivise “(…) sui problemi all'ordine del giorno, che costituiscono la tragica trama di eventi che dolorosamente rompono le basi del mondo alla fine del ventesimo secolo. Un mondo in cui l'umanità si trasforma in un circo, lacerato dalle lotte tra i grandi e i meno grandi, scosso da bande armate, sottoposto a violenza e saccheggi. Un mondo in cui le nazioni, eludendo la giurisdizione internazionale, comandano i gruppi fuorilegge, vivono di rapine e organizzano traffici ignobili, con il fucile in mano”. 





[2] Noam Chomsky, ‘Antisemitismo, sionismo e palestinesi’, venerdi 11 ottobre 2002, intervista in collegamento Skype registrata da dalla Scottish Palestine Solidarity Campaign, Peace & Justice Center. In: https://www.variant.org.uk/16texts/Chomsky.html


[3] Haaretz Editorial, “Declaring War on the Intellect - Israel and Noam Chomsky”, 18 maggio 2010, in: https://www.haaretz.com/1.5121971
[4] Hasia Diner, Marjorie N. Feld, We’re American Jewish Historians. This Is Why We’ve Left Zionism Behind”, 1 agosto 2016, in: https://www.haaretz.com/opinion/were-american-jewish-historians-this-is-why-weve-left-zionism-behind-1.5418935



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