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martedì 6 agosto 2019

La gioiosa macchina da guerra progressista. Il lato colorato della guerra





Chiara Madaro

Michel Chossudowsky è Professore Emerito di Economia presso l’università di Ottawa. Fondatore e direttore del Global Research è stato anche consulente di vari paesi in via di sviluppo. Fortunato autore di svariate opere di geopolitica, durante la sua carriera si è distaccato per aver assunto posizioni intellettualmente oneste. Canadese, origini ebraiche, mette in luce la funzione di NATO, Stati Uniti e Israele rispetto al tema della guerra totale e del deep state, del nuovo ordine mondiale, del ‘terrorismo dal volto umano’ e di tutte le subdole forme assunte dalla guerra grazie alle nuove tecnologie.
In The Globalization of War emergono importanti scenari, mai dibattuti nel Bel Paese.

A partire dall’ultimo capitolo che chiude con la ‘Fabbrica del Dissenso’, una realtà già emersa dalle indagini italiane sugli anni dello stragismo nero che poi è diventato rosso.
Secondo l’analisi di Chossudowsky, la gran parte dei movimenti pacifisti in Occidente sono in crisi e dominati da un gruppo di giovani rampanti che si autoproclamano ‘progressisti’. Irreversibilmente soggetti a quel principio noto alla psicologia sociale per cui l’istinto del branco porta le persone a seguire i comportamenti e le scelte della massa senza pensarci fino in fondo..

Storicamente i movimenti progressisti sono stati infiltrati da leader cooptati e manipolati dai generosi fondi elargiti da corporazioni transnazionali come quelle dei Rockefeller, i Ford ecc., in collaborazione con la CIA e indirizzati a organizzazioni non governative, sindacati, partiti. E’ il caso delle ‘rivoluzioni colorate’.
Il motivo per cui il dissenso viene finanziato risiede nella necessità di prevenire e indirizzare le proteste in modo che non costituiscano una vera sfida per Wall Street, le corporazioni del settore energetico, l’industria militare, le bio-tecnologie e, ovviamente, i media.  Accettare e gestire il dissenso, lasciare delle valvole di sfogo e stabilirne i limiti, è, per Chossudowsky, nell’interesse delle élite corporative. L’obiettivo non è più reprimere ma ridisegnare e addomesticare il dissenso portandolo verso logiche ribaltate (‘la guerra è pace’). 

Non solo un lavoro di deviazione ma anche di indebolimento progressivo attraverso l’incoraggiamento di un sempre più frammentato,  ‘vasto mosaico di attivismo fai-da-te’. Le lotte ingaggiate da questi movimenti non potranno mai essere davvero significative. Il lavoro dei leader cooptati, veri e propri ‘ingegneri sociali’ in grado di coinvolgere la base sociale delle comunità dei Paesi-target, sarà tale per cui le comunità non riusciranno in alcun caso a scalfire il dominio dei finanziatori, perché sono troppo onerose in termini di tempo e di denaro.
L’espressione ‘fabbrica del consenso’ fu coniata in un primo momento da Edward S.Herman e Noam Chomsky con l’intento di descrivere un meccanismo in funzione del quale i media sviano l’opinione pubblica dalle questioni che andrebbero realmente affrontate inculcando valori e credenze. 
Il ruolo della stampa è stato e continua ad essere fondamentale come strumento della propaganda  nel dipingere azioni di guerra, spesso ai danni di inermi civili, come ‘operazioni umanitarie’ o nel dare voce a nuovi ‘totem’ culturali e/o religiosi. Favorire finanziariamente un limitato gruppo di organismi progressisti cooptati e strategicamente scelti, consente alle élite di mantenere una ragion d’essere, senza mai essere seriamente e contestualmente contestate. Il ‘gancio’ con i cooptati può avvenire a margine di meeting internazionali durante i quali i rappresentanti delle ONG accreditate, magnanimamente  invitate a partecipare, possono ottenere incontri ravvicinati con i ‘grandi della Terra’ in occasione di cocktail e feste appositamente studiate.
Il rituale appena descritto ha una funzione decisiva: 
- che i cooptati facciano passare l’idea di come i ‘grandi della Terra’ abbiano compreso la necessità di concessioni che vanno elargite
- lasciare l’illusione che esista una certa forma di democrazia 
- che ‘there is no alternative’, che non c’è alternativa.
Una vignetta che ritrae Margaret Thatcher, autrice dello slogan 'there is no alternative', non c'è alternativa al neoliberismo.
Quindi se la base sociale smossa dai cooptati è ignara in gran parte di questi meccanismi, i leader delle ONG sono pienamente coscienti della provenienza del denaro e di cosa essa comporti.
Il meccanismo della cooptazione, sottolinea Chossudowsky, non si limita all’acquisto di personalità politiche ma si propone di occupare pervasivamente ogni anfratto della società civile dissenziente attraverso il finanziamento di ONG e di organizzazioni che rivestono un ruolo storico nelle proteste contro il sistema.
Naturalmente questi meccanismi si sviluppano in un ambiente manipolatorio e orientato alla disinformazione per cui chi dissente non è in grado di rendersi conto della contraddizione in cui è immerso. Niente di più facile, ad esempio, che chi manifesta contro i giganti del petrolchimico, venga finanziato o sponsorizzato proprio dalle élite che contestano o che chi manifesta per i diritti civili e contro i fascismi venga finanziato dagli stessi organi che hanno sostenuto gruppi nazisti in Ucraina. 
Manifestazione Euromaidan in Ucraina

Qui Parubiy è stato uno dei leader di spicco durante la Rivoluzione Arancione prima e poi con il movimento Euromaidan, letteralmente Europiazza, terminato con centinaia tra morti e feriti.  Conosciuto come il ‘comandante’, questo moderno eroe della democrazia è un estimatore di Stepan Bandera, nazista ucraino coinvolto in assassinii di massa ai danni di popolazioni ebree durante la II GM. Informazioni appropriatamente volatilizzate dalla stampa del vigente regime democratico.
L’amara ironia della situazione è che parte dei guadagni fraudolenti che le élite riciclano e investono in fondazioni, istituti di ricerca e gruppi di volontari impegnati sul fronte dei cambiamenti climatici, dei diritti umani e civili, dei credo religiosi, sono completamente esentasse.
Con pazienza e in un testo di agevole lettura, Chossudowsky ripercorre le interconnessioni geopolitiche in atto, i meccanismi che regolano i precari equilibri su cui poggia il mondo, i retroscena della competizione per il dominio delle risorse energetiche, la corsa agli armamenti e all’accaparramento dei minerali.  
La mappa della Primavera Araba
Una storia, quella del disegno imperialista statunitense, in cui anche l’Italia detiene un ruolo centrale grazie al rapporto storico con la Libia. Ma sono importanti anche i paesi africani francofoni, in parte già ‘anglizzati’, su cui il Paese a Stelle&Strisce pretende di mettere le mani allo scopo di non perdere la partita con la Cina.
Di questi tempi, osserva Chossudowsky, cambiano i rapporti di forza e, dunque, devono cambiare anche le armi e le tecniche di assalto, in un’ottica orientata alla guerra perpetua.
Assicurarsi il primato sulle nuove tecnologie è fondamentale. La guerra meteorologica è una delle vie che già sono state intraprese attraverso le ENMOD, Environmental Modification Techniques, sviluppate in seno al programma HAARP. L’applicazione delle modificazioni climatiche potrà avvenire sia a scopo offensivo che difensivo. Precipitazioni, nebbia, tempeste, possono essere ‘fabbricate’ attraverso la modificazione della ionosfera, facendo uso degli specchi ionosferici. Questo può indebolire la capacità dell’avversario anche solo, si pensi, distruggendone la capacità produttiva.
Lo suggerisce anche il PNAC, Project for a New American Century, Think Tank governativo neocon: “Forme avanzate di bio-warfare, possono focalizzarsi su particolari genotipi e trasformare la guerra biologica portandola dal dominio del terrore a diventare uno strumento politicamente utile”.
D’altra parte, rammenta nella sua analisi Chossudowsky, l’arma della guerra finanziaria non è nuova. FMI e BM, hanno avuto, in questo, una funzione strategica. L’Amara medicina’ imposta a molti paesi, le misure di austerity, sono andate di pari passo ad operazioni sotto copertura della CIA che avevano, appunto, il ruolo di intervenire sui gruppi di protesta controllandone le attività.
E’ tempo, conclude il Professore, che la società civile prenda coscienza di questi fondamentali elementi in modo da ricostruire in maniera significativa i movimenti di protesta sganciandosi dai finanziamenti delle corporazioni e dalle catene che esse impongono.

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