Chiara Madaro
anche su: http://www.europeanconsumers.it/2019/03/21/biowarfare-e-agricoltura-il-danno-ambientale-come-strumento-di-guerra/
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Così
come la guerra di controinsorgenza tende al genocidio rispetto ai popoli, così tende
all’ecocidio rispetto all’ambiente[1]:
è la bio-warfare.
Una
modalità esportabile ovunque attraverso la disseminazione strategica di
batteriosi ai danni di coltivazioni di pregio. Le pandemie agricole possono
infatti condurre a perdite produttive economiche di immense proporzioni e per
tempi sufficientemente lunghi da determinare crisi importanti. Soprattutto se
ad essere colpite sono le piante
perenni.
Era
ancora il 2000 e l’analista di bio-warfare Casagrande, preconizza come un
obiettivo terrorista potrebbe essere un target agricolo di cui un Paese ha
particolare orgoglio come gli ulivi spagnoli o le viti francesi[2].
Citando
Paul Roger, collega della Bradford University, egli nota come si stia
verificando un’inversione di tendenza dei gruppi terroristici rispetto al
passato: dall’attacco nei confronti delle persone alla distruzione di proprietà
e commercio. Stati ostili possono scegliere l’agricoltura come mezzo per una
guerra asimmetrica allo scopo di paralizzare l’industria di una nazione rivale.
I
tempi sono importanti: se una malattia tarda a mostrare i segni della sua
distruttività, tarderanno anche le misure per contrastarla.
Secondo
alcuni studiosi l’introduzione di questi organismi è facile, i costi di
eradicazione alti e le probabilità di condurre con successo una eradicazione
del patogeno, scarse.
I
motivi possono andare oltre le ragioni politiche o religiose.
Il
Dr. Hom, dell’Agricultural Research Service, afferma che le armi capaci di
affliggere l’agricoltura possono essere usate allo scopo di manipolare futuri
mercati con il vantaggio di non provocare un picco emotivo o barriere morali in
quanto non viene ucciso nessuno[3].
Secondo
il Generale Fabio Mini, “(…) la guerra ambientale è oggi definita come
l’intenzionale modificazione di un sistema ecologico naturale (…) allo scopo di
causare distruzioni fisiche, economiche e psico-sociali nei riguardi di un
determinato obiettivo geofisico o una particolare popolazione. Questa guerra –
continua il Gen. Mini – si può avvalere di tutte le forme tradizionali di lotta
armata, ma si concentra soprattutto sulle nuove tecnologie e sugli sviluppi della
guerra psicologica e dell’informazione, che comprendono il cosiddetto denial:
la negazione delle informazioni, dei servizi, delle conoscenze, degli accessi
alle tecnologie e agli strumenti di difesa e salvaguardia.
Sul piano tecnico, la guerra ambientale
coniuga la destabilizzazione interna, il “denial”, la distruzione delle fonti
di approvvigionamento e l’effetto psicologico della “terra bruciata” che,
secondo i pianificatori dell’antica Guerra del Vietnam, doveva indurre
rapidamente le popolazioni nemiche a più miti consigli. Le popolazioni, non le forze militari.
“In
materia di negazione, nell’ambito della guerra ambientale – Mini specifica –
essa può esprimere potenzialità enormi; ed arrivare al cinismo più disumano,
anche se condotta in forma latente e passiva”[4].
Secondo
R. Falk, il ricorso deliberato a forme di guerra di tipo ambientale è parte
della convinzione militare per cui l’unico modo per distruggere la
controinsorgenza consiste nel negare ad essa una copertura, il cibo e i
supporti vitali di sussistenza per il paese. E afferma che, negli ultimi
decenni, sono state messe a punto tecniche che vanno dall’uso di mezzi
meccanici agli erbicidi. Il minimo comune denominatore di tutte le operazioni
rimane quello di separare le popolazioni dalla loro terra[5].
L’agricoltura
ha, d’altra parte, diverse caratteristiche che pongono vulnerabilità uniche e
importantissime per l’economia di un Paese prestandosi ad attacchi ben più
subdoli.
E’
il motivo per cui, di crimini biologici e agro-terrorismo, si parla sempre più
insistentemente anche in contesti accademici e di intelligence.
L’impatto
biologico, economico e politico dell’agroterrorismo ha generato preoccupazioni
a livello globale tali per cui dal 2005 sono stati organizzati 4 Simposi
Internazionali sull’Agroterrorismo (ISA).
Il
4^ ISA ha avuto luogo a Kansas City nell’aprile del 2011, organizzato da The
Heart of America Joint Terrorism Task Force (HOA-JTTF) e dal Kansas City
Division of the FBI[6].
E’
stato questo il contesto in cui si è provato a definire meglio la tecnica della
guerra economica ed è stato notato come esistano almeno 3 livelli di costi
associati ad un attacco agroterroristico:
1.
Perdite dirette risultanti da misure di contenimento e distruzione di bestiame
ammalato;
2.
Costi di compensazione pagati agli agricoltori per la distruzione di materiale
agricolo e perdite sofferte direttamente e indirettamente dall’industria
correlata;
3.
Costi internazionali nella forma di embarghi protezionisti applicati agli
scambi commerciali imposti dai più importanti partner commerciali esteri[7].
E’
una realtà riconosciuta anche dalle Nazioni Unite le quali, già il 7
maggio1977, hanno avviato il percorso di ratifica di una Convenzione che
bandisca l’uso militare o altri usi ostili delle tecniche di modificazione
dell’ambiente come mezzo di distruzione o danno nei confronti degli stati che
ne fanno parte[8].
Se
uno degli Stati Parti pensa che sia stata violata la Convenzione sul proprio
territorio, può sporgere reclamo presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite il quale svolgerà delle indagini.
Ratificata
dall’Italia con la legge n.962 del 29 novembre 1980 dopo l’adesione del 18
maggio 1977, la Convenzione proibisce ogni forma di modifica ambientale avente
effetti estesi, duraturi e severi specificando che deve intendersi per ‘estesa’
un’area di svariate centinaia di chilometri quadrati, per ‘duraturo’ un periodo
di tempo pari ad alcuni mesi o ad una stagione e per ‘severo’ quell’atto o
complesso di atti capace di provocare danni importanti alla vita delle persone,
della natura, delle risorse economiche o di qualsiasi altra attività capace di
generare benessere per le popolazioni.
La
necessità di elaborare una Convenzione in materia, si avvertì già negli anni
70, quando i devastanti effetti dell’Agente Arancio[9] nella guerra del Vietnam, furono
evidenti a tutti.
Secondo
l’attivista e scienziata Vandana Shiva, “(…) I veleni chimici utilizzati in
guerra vengono riciclati in tempi di pace e distribuiti come fertilizzanti
sintetici e pesticidi. L’agricoltura e la produzione alimentare si trovano così
a dipendere da armi di distruzione di massa”[10].
Ma
l’uso di sostanze chimiche di sintesi in agricoltura è solo l’aspetto più
evidente di un tema estremamente più complesso e grave.
Un’ulteriore
arma è costituita dall’ingegneria genetica, una scienza che è andata ben oltre
qualsiasi immaginazione rendendo possibile l’impensabile.
L’autorevole
Max Plank Institute for Evolutionary Biology e
l’Institut des Sciences de l’Evolution de Montpellier , fa
riferimento ad un programma chiamato ‘Insect Allies’ o insetti alleati, come di
una possibile arma biologica.
Il
Programma elaborato dal DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) alla
fine del 2016 si è basato su di una sperimentazione lunga 4 anni. L’obiettivo
consisteva nell’utilizzo di insetti allo scopo di disperdere virus
geneticamente modificati nei campi agricoli. Questi virus sarebbero stati
ingegnerizzati in modo da alterare i cromosomi delle piante attraverso il ‘genome
editing’. Ciò avrebbe consentito l’implementazione rapida di modificazioni genetiche su larga scala su
coltivazioni già adulte in campo aperto. Questi esperimenti sono pressochè
sconosciuti perfino tra gli addetti ai lavori e, secondo il Max Plank, le
questioni che sollevano, meritano un urgente dibattito allargato alla
giurisprudenza ricordando che la Convenzione per le armi biologiche, ratificata
da oltre 180 paesi, obbliga i Paesi parti a non sviluppare o produrre mai e in
alcuna circostanza agenti o tossine né di utilizzare questo tipo di armi a fini
ostili o in conflitti armati [11].
Chiaramente
si deve fare una distinzione tra l’introduzione di patogeni con l’intenzione di
causare danno economico e il tentativo di causare terrore.
Secondo
gli studi disponibili, non esistono casi documentati sull’introduzione di
patogeni con esito ‘positivamente dannoso’ in agricoltura ed è in corso un
dibattito sia negli Stati Uniti[12]
che in Europa inteso a comprendere quali fitopatogeni possano essere
classificati come armi.
Alcuni
patogeni causano perdite nelle coltivazioni ma sono, in genere, tollerabili.
Altri causano danni veramente considerevoli in quanto colpiscono piante dal
significativo valore economico e commerciale.
Al
momento viene attribuito grande interesse al potenziale offerto dai patogeni
delle piante, inclusi i batteri fitopatogeni, in quanto armi biologiche e da
bioterrorismo.
E’
stato riconosciuto che l’introduzione clandestina di alcuni batteri
fitopatogeni possa causare perdite nelle coltivazioni ad un livello tale da
determinare un impatto significativo sull’economia nazionale e quindi
costituire una minaccia alla sicurezza nazionale. Parallelamente è stata
avanzata l’ipotesi che possano causare un serio allarme pubblico.
La
legislazione internazionale sta disciplinando la selezione di batteri
fitopatogeni in quanto armi potenziali. Ma non tutti i batteri fitopatogeni
hanno i requisiti per rientrare nella classifica dei patogeni da bio-warfare.
Importante,
in tale contesto, rammentare l’importanza del dialogo tra la scienza, la
giurisprudenza, l’intelligence, la politica.
A
questo punto non è secondario rammentare in proposito come la sequenziazione di
batteri o altri organismi fornisce importanti informazioni sui viventi ma ne
permette anche la modificazione delle caratteristiche e dei comportamenti
rendendo ogni volta vano ogni sforzo teso a mettere ordine nella materia. Le
tecnologie in possesso della scienza, consentono, infatti, di operare modifiche
in base alle necessità.
Secondo
i più recenti studi, tra i batteri, Liberibacter spp. e Xylella fastidiosa,
entrambi patogeni per gli agrumi, potrebbero essere considerati tali da
soddisfare i criteri proposti per le armi biologiche[13]. Questi batteri si servono anche degli
insetti vettori per viaggiare[14].
E’,
infatti, la combinazione ospite-patogeno ad essere oggetto di discussione
quando si parla di armi biologiche in agricoltura. Alcuni studi propongono,
appunto, che affinchè sia classificato tra le armi biologiche, un batterio
debba produrre un danno su scala nazionale, debba essere introdotto in maniera
deliberata, clandestina e da avversari politici ostili[15].
Secondo
uno studio sui fitopatogeni in quanto arma da biowarfare, si propongono tre
criteri applicati alla perdita di coltivazioni, ognuno dei quali deve essere
raggiunto affinchè un batterio fitopatogeno possa essere considerato una
potenziale arma biologica:
1.deve
essere capace di causare devastanti e durevoli perdite epidemiche ad una
coltivazione e su scala nazionale. Ciò a dire che, sebbene una perdita di
coltivazioni può essere confinata ad una regione, la dimensione della perdita
deve essere tale da raggiungere rendimenti antieconomici o improduttivi.
Rendimenti che sono inadeguati rispetto a standard nazionali o riguardano un
commercio importante a livello nazionale;
2.
Non deve essere ancora presente nel paese o nelle aree di produzione primaria
prese in considerazione;
3.
Il patogeno deve causare perdite che non
possono essere assorbite dalla sostituzione con altre coltivazioni o ottenendo
il prodotto coltivato da un’altra risorsa”[16].
Ancora
secondo questo interessante studio: “(…)non è così inimmaginabile che questi o
altri patogeni possano essere introdotti in atti di sabotaggio industriale
internazionali. L’introduzione può verificarsi con l’intenzione di causare
perdite rispetto alle rendite in modo da ridurre la competizione del prodotto o
per imporre o rimuovere barriere non tariffarie”[17].
Le
notizie riguardanti esperimenti riservati sui batteri da parte di alcuni
laboratori statunitensi si fanno sempre più insistenti. Il risultato poco
rassicurante riguardo ad un tipo di batterio capace di metabolizzare il
petrolio ma anche la carne umana, non ha fermato le sperimentazioni soprattutto
in territorio europeo. In particolare gli analisti rammentano come nella guerra
di supremazia globale, l’attuale presidente statunitense D. Trump non faccia
mistero dell’astio nei confronti del Vecchio Continente e dell’Euro,
considerato un pericoloso competitore. In questa ricostruzione geopolitica, si
fa menzione alla già citata Xylella fastidiosa, partita all'attacco degli ulivi
in Salento, una regione del sud Italia che, da sola, produce un terzo delle
scorte mondiali di olio d'oliva con 11 milioni di tonnellate all'anno. La
batteriosi ha fatto registrare perdite per 250 milioni di euro[18].
Molti
paesi sono sospettati di detenere armi biologiche che abbiano come target
l’agricoltura, avendo come obiettivo non tanto l’effetto psicologico del
terrore ma quello dell’indebolimento economico. Una volta che un gruppo
terrorista abbia ottenuto un’arma capace di danneggiare l’agricoltura, la sfida
sarà quella di disseminare il patogeno su un territorio sufficientemente ampio
da danneggiare una produzione che occupa una posizione importante nell’economia
del paese.
Gli
stessi insetti vettore vengono, tra l’altro, considerati armi biologiche come
ogni organismo contagioso e diffusivo[19].
D’altra
parte è possibile selezionare ceppi ipervirulenti o ingegnerizzare una maggiore
virulenza nei patogeni selezionati attraverso metodi molecolari e si afferma
l’estrema facilità di approntare l’inoculo di un batterio fitopatogeno
attraverso la ‘kitchen technology’ e il rilascio di sospensioni di materiale
infetto sminuzzato. D’altra parte, lo spostamento illecito internazionale di un
batterio patogeno è relativamente facile con il contrabbando di colture
naturalmente o artificialmente infette.
L’idea
che gli interessi della criminalità organizzata e delle imprese transnazionali
possano collimare con alcuni interessi politici e strategici al punto da
arrivare a patti di collaborazione che vanno dal locale al globale, è
tutt’altro che peregrina.
Secondo
il Generale Mini, un primo livello di indagine, in tal senso, dovrebbe essere
diretto proprio su certe assenze dello Stato, certe forme di amnesia e
indifferenza da parte delle istituzioni, pur richiamate dalla comunità locali a
rispondere e prendere parte attiva in difesa dei territori e delle economie
che, attraverso il territorio, riescono ancora e generare. E afferma:
“L’assenza di controllo - altra forma del denial,- viene attivamente perseguita
anche al di fuori dei campi di battaglia militari , visto che lo spazio della
guerra ambientale non è limitato, e avviene in maniera apparentemente
incruenta. Periodicamente e sempre più insistentemente alcune industrie premono
sui governi affinché siano esentate da vincoli e controlli ambientali. Altre,
ancora, eludono le ispezioni e corrompono i funzionari per ritardare
l’applicazione delle norme o chiudere il classico “occhio”. Altre, ancora, promuovono
leggi teoricamente giuste ma evidentemente inapplicabili o che prevedono
sanzioni irrisorie per chi le viola. (…)”[20].
E’
il caso che, anche in Europa, ogni paese decida con maggior forza di
direzionare sforzi strategici verso una pianificazione di lungo periodo e
svolgere ricerche e controlli orientati al rafforzamento dei terreni agricoli e
alla protezione delle specie vegetali di maggior pregio.
Di
Chiara Madaro
https://www.mpg.de/12318180/darpa-insect-ally
[1] Richard A. Falk,
“Environmental Warfare and ecocide facts, appraisal and proposals”, Princeton
University, First Published March 1, 1973
[2]
Casagrande, R. 2000.
Biological terrorism targeted at agriculture: the threat to U.S. national
security. Nonproliferation Rev. 73:92-105.
[4] Fabio Mini, “Owning the
weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, in Limes n. 6/2007, Il
Clima dell’Energia, pg 74
[5] Richard A. Falk,
“Environmental Warfare and ecocide facts, appraisal and proposals”, Princeton
University, First Published March 1, 1973
[6]
http://www.homelandsecuritynewswire.com/fourth-international-symposium-agroterrorism-announced
[7] Armin Elbers and Rickard Knutsson,
“Agroterrorism Targeting Livestock: A Review with a Focus on Early Detection
Systems”, Biosecurity and Bioterrorism: Biodefense Strategy, Practice, and
Science Volume 11, Supplement 1, 2013 ª Mary Ann Liebert, Inc. DOI:
10.1089/bsp.2012.0068
[8] Risoluzione 31/72 dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite 10 dicembre 1976, “Convention
on the Prohibition of Military or Any Other Hostile Use of Environmental
Modification Techniques”
[9] Agente Arancio era il nome in
codice che venne dato dai militari americani coinvolti nella guerra del Vietnam
con lo scopo di stanare il nemico che si nascondeva in mezzo al rigoglioso
fogliame riuscendo ad attaccare le truppe statunitensi senza essere visto.
L’Agente Arancio altro non è, infatti, se non un erbicida a base di diossina e
arsenico che venne irrorato dall’alto tra il 1961 e il 1971 per un totale che
si stima in 44 milioni di litri. Questa sostanza provocò danni immediati ma
anche effetti a lungo termine che si riflettono nel presente sia all’ambiente
che sulle popolazioni locali. La perdita di materia vegetale ha, infatti
provocato una grave compromissione del suolo. L’erosione è ancora oggi causa di
alluvioni gravissime e distruttive. Ma un’ulteriore conseguenza riguarda gli
effetti sulle popolazioni vietnamite e le numerose nascite di bambini affetti
da severe malformazioni ed altre patologie.
[10] Vandana Shiva, “Il bene comune
della terra”, p.169, 2005, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano
[11] Max Plank Institute for Evolutionary Biology, “A step towards
bioological warfare with insect? A project by research agency of the US
Department of Defense could easily be misused for developing biological
weapons”, 4 ottobre 2018, in https://www.mpg.de/1231880/darpa-insect-ally
[12] Agricultural Bioterrorism
Protection Act of 2002. 2002. Possession, use and transfer of biological agents
and toxins. Department of Agriculture, Animal and Plant Health Service. United
States Federal Register 67(240):76926-76938
[13]
Giuseppe Altieri (Docente di Agroecologia, Fitopatologia ed Entomologia,
Istituto Agrario Todi) Pietro Massimiliano Bianco (Servizio Carta della Natura,
ISPRA) Valter Bellucci (Servizio Uso sostenibile delle Risorse Naturali, ISPRA)
Franesca Floccia (Servizio Tutela della Biodiversità, ISPRA) Carlo Jacomini
(Servizio Tutela della Biodiversità, ISPRA) Pietro Perrino (già Dirigente di
Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche) Rosalba Tamburro (Dip. di
Biologia Ambientale, “Sapienza” Università degli Studi di Roma) Franco Trinca
(Presidente dell’Associazione NOGM), “Xylella fastidiosa e olivo”, maggio 2016,
su https://www.researchgate.net/publication/303408704
[14] Come riferito in precedenza, la
materia è nuova ed in evoluzione per cui, ad oggi, non esistono casi
documentati di agenti patogeni utilizzati di proposito allo scopo di
distruggere o danneggiare piante perenni pregiate. E’, tuttavia, da rilevare
che nel 2010 il pericolo alle porte di Xylella fastidiosa è stato presentato in
Europa durante un convegno internazionale tenuto a Bari dall’IAM, Istituto
Agronomico del Mediterraneo dal titolo: “Diagnostic and statuory aspect of Xylella Fastidiosa, its vectors and the
diseases it is causing”. Nel 2013 scoppia il caso del disseccamento degli ulivi
in Salento, di Xylella fastidiosa e del suo insetto vettore, Philaenus
spumarius.
[15] Young, J. M., Allen, C.,
Coutinho, T., Denny, T., Elphinstone, J., Fegan, M., Gillings, M., Gottwald, T.
R., Graham, J. H., Iacobellis, N. S., Janse, J. D., Jacques, M.-A., Lopez, M.
M., Morris, C. E., Parkinson, N., Prior, P., Pruvost, O., Rodrigues Neto, J.,
Scortichini, M., Takikawa, Y., and Upper, C. D. 2008. Plant-pathogenic bacteria
as biological weapons – Real threats? Phytopathology 98:1060-1065.
[18] Jean Perier, “America’s Runaway Bacteria
How Yet Another US Bio-weapon is
Getting Rampant in Europe”, 4 gennaio 2019,
https://off-guardian.org/2019/01/04/yet-another-of-americas-runaway-bacteria-is-getting-rampant-in-europe/
[19] Stefano Astorino,
“Biotecnologie, guerra biologica e bioterrorismo: nuovi agenti come armi
biologiche”, Università degli Studi Roma Tor Vergata, 2012/2013, Facoltà di
Ingegneria e Facoltà di Medicina e Chirurgia Master di II livello in
“Protezione da eventi CBRNe”
[20] Fabio Mini, “Owning the
weather: la guerra ambientale globale è già cominciata”, in Limes n. 6/2007, Il
Clima dell’Energia, pg 76















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