Chiara
Madaro
Il
mese di settembre, negli ultimi anni, è iniziato nel segno del fuoco, nel
Mediterraneo, con esercitazioni congiunte sino-russe al largo della Siria.
Tra
il 17 e il 21 maggio 2015 Cina e Russia hanno svolto le prime esercitazioni
militari congiunte nel Mediterraneo. Le manovre, note con il nome di “Joint Sea
2015” hanno coinvolto una flotta di 9 navi e hanno fatto seguito a quelle
inaugurate nel Pacifico dal 2012. L'iniziativa è, probabilmente, una
conseguenza dei maggiori interessi della Cina nei confronti di Africa e Medio
Oriente ma anche di rapporti internazionali più tesi[1].
Un’esperienza
ripetuta più di recente con l’operazione Vostok-2018, tra l’11 e il 15
settembre, questa volta molto più corposa: 300mila uomini e mille mezzi
d’aviazione impegnati nella regione di Trans-Bajkal preceduta da un’ulteriore
esercitazione dall’1 all’8 settembre ancora una volta nel Mediterraneo e hanno
coinvolto 26 vascelli della marina russa davanti alle coste siriane e 34
velivoli.
Un’area calda dove è stata presente anche la marina americana nelle
due settimane precedenti. Esercitazioni che cementano le relazioni sino-russe e
che offriranno all’esercito cinese l’opportunità di attingere dall’esperienza
militare russa. La Cina, infatti, sebbene registri maggiori spese in campo
militare rispetto alla ex Unione Sovietica, dispone di minore esperienza sul
campo[2].
Le
manovre sono state accompagnate da successive esercitazioni dell’esercito
statunitense, attestato nell’entroterra, proprio in una zona infestata da
ribelli che si oppongono al governo siriano. L’accusa avanzata dai russi è che
gli Stati Uniti insieme a Francia e Regno Unito stiano esercitando i ribelli (o
i terroristi) e organizzando azioni provocatorie.
E, infatti, in un
silenzio-stampa assordante, lo stesso 8 settembre 2018, ultimo giorno di
esercitazioni sino-russe, con l’aviazione e la marina degli storici avversari
ancora nei paraggi, gli Stati Uniti sganciano bombe al fosforo bianco su un
villaggio della Siria orientale. Si tratta di munizioni vietate da un
Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra del 1949. Lo ricorda in una
nota Putin il quale, alleato della Siria, qui ha investito gran parte della sua
politica estera. E’ in Siria che si cementa e, in gran parte, si gioca il patto
d’acciaio tra Israele e Stati Uniti. La Siria, bersagliata anche da Israele,
rappresenta il terreno migliore per combattere l’Iran, considerato a pari
merito nemico sia da Israele che da Stati Uniti. Qui, in passato, Israele
offriva segretamente supporto ai ribelli siriani che occupavano le alture del Golan[1],
un’area di interesse strategico per gli Stati Uniti che stanno svolgendo test
finalizzati all’estrazione di petrolio
Le
perforazioni sono iniziate nel giugno 2016 e, tra gli investitori più noti
della società petrolifera americana Genie Energy, ci sono alcuni degli
speculatori della guerra siriana, Rupert Murdoch, Dik Cheney (ex vice
presidente degli Stati Uniti), Rotshild e James Woolsey (ex capo della
CIA)[2].
Secondo
Robert Kennedy Jr, dovremmo guardare oltre la conveniente spiegazione della
religione e dell’ideologia e concentrarci sull’indice accusatore che la storia
punta in merito alla relazione tra petrolio, terrorismo, militarismo,
imperialismo che, ormai, lambisce anche le nostre coste[3].
“I
leader politici dell’Isis e i suoi strateghi stanno lavorando allo scopo di
provocare un intervento militare che,
sanno per esperienza, inonderà i loro ranghi di volontari, soffocherà le voci
moderate e unificherà le forze dell’Isis contro l’America”[4],
dice ancora Robert Kennedy, non sapendo, forse, che i leaks di Assange hanno
svelato al mondo come i finanziamenti nei confronti dell’Isis, giungano in
maniera bipartisan dagli stessi Stati Uniti. Oppure, chissà, suggerendo che i
conflitti vengono generati da forze che agiscono in funzione di interessi
finanziari che raramente collimano con quelli dei popoli.
Ma sul
petrolio ha ragione. Attualmente l’Afek, una filiale appartenente alla Genie
Energy Ltd, sta perforando 10 pozzi sperimentali su un’area di 396
chilometri quadrati. Dal febbraio 2015, la società di perforazione sta cercando
petrolio in una zona di 39.500 ettari a sud di Katzrin sulle alture del Golan.
Ad oggi, la società ha completato la perforazione in 5 su 10 siti consentiti.
Per determinare come procedere e per analizzare i risultati ottenuti, Afek ha
assunto la società di geofisica americana Miller e Lents, Ltd.
Israele,
intanto, ha rivendicato sovranità sulle alture del Golan e denunciato
l’illegittimità delle azioni nordamericane: l’accesso al petrolio del Golan,
garantirebbe ad Israele l’indipendenza energetica per i prossimi 100 anni.
Un
braccio-di-ferro che si ripete da 70 anni:
“La CIA ha iniziato la sua intromissione
attiva in Siria nel 1949, appena un anno dopo la creazione dell’agenzia –
Ricorda Robert Kennedy Jr. - I patrioti
siriani avevano dichiarato guerra ai nazisti, espulso i loro dominatori
coloniali francesi e realizzato una fragile democrazia laicista sulla base del
modello americano. Ma nel marzo del 1949, il presidente democraticamente eletto
della Siria, Shukri al-Kuwaiti, esitò ad approvare la Trans Arabian Pipeline,
un progetto americano destinato a collegare i giacimenti petroliferi
dell’Arabia Saudita verso i porti del Libano attraverso la Siria.
Nel suo
libro, Legacy of Ashes , lo storico Tim Weiner racconta che per rappresaglia,
la CIA organizzò un colpo di stato. In sostituzione di al-Kuwaiti la CIA mise
un truffatore di nome Husni al-Za’im. Al-za’im ebbe appena il tempo di
sciogliere il parlamento e approvare l’oleodotto americano prima che i suoi
connazionali lo deponessero, 14 settimane dopo il suo insediamento”[5].
Una storia che si ripete più di recente. Ancora Kennedy su Politico fa risalire
il conflitto armato in Siria al rifiuto di Bashar Assad di consentire il
passaggio del gasdotto dal Quatar verso l’Europa. Dunque non in seguito alla
Primavera Araba nel 2011 ma nel 2009, quando, appunto, il Quatar ha proposto di
costruire il gasdotto che doveva attraversare Arabia Saudita, Giordania, Siria
e Turchia[6].
E’
quello che succede a chi si frappone tra gli Stati Uniti e i suoi obiettivi
petroliferi. Cosa dobbiamo aspettarci per la Trans Adriatic Pipeline? Forse un
film che già stiamo vivendo.
In
attesa di trovare risposte, Trump a marzo ha fatto la mossa del cavallo
dichiarando di riconoscere la sovranità degli amici israeliani sul Golan. L’annuncio
è avvenuto su Twitter, consuetamente scavalcando qualsiasi forma di diplomazia
su questioni estremamente delicate. E da Twitter Netanyahu ha ringraziato. Una
mossa non apprezzata dai diretti interessati: Damasco rivendica il legittimo
possesso di quei territori abusivamente occupati da Israele nel 1967 durante la
guerra dei 6 giorni. Secondo la Siria, le affermazioni di Trump costituiscono
un’aperta violazione delle risoluzioni internazionali elaborate in merito a
questa storica vicenda. Di contrappunto anche i commenti di Russia e Turchia
unite da comuni interessi nel mercato energetico europeo.
Nel
2013, infatti, il corridoio sud del gas è stato approvato dalle autorità
europee come progetto di interesse comunitario (PCI) per favorire la
diversificazione delle fonti da cui l’Europa si approvvigiona. Sebbene l’intenzione
dichiarata sia di rendersi più autonoma dalle riserve russe, all’investimento
di circa 45 miliardi di dollari partecipa anche la russa Lukoil. Non solo: più
recenti accordi prevedono, in futuro, proprio di attingere al gas russo
attraverso il Turkish Stream e l’East-Med Stream. Il 24 gennaio 2017 a Vienna,
durante la Conferenza europea del gas, l’amministratore delegato di Gazprom
Alexander Medvedev ha annunciato che si sta discutendo la possibilità di
utilizzare i gasdotti Poseidon e Trans Adriatic Pipeline per esportare il gas
verso l’Europa[7].
La
notizia, oltre a rivelare la concreta possibilità che l’hub salentino riceverà
gas non solo dall’Asia ma anche dal Mar Caspio, svela rapporti complessi che
hanno in comune l’urgenza di assicurarsi il controllo sulle risorse
energetiche.
Rimane
l’insostenibile leggerezza del Tycoon che, in un sol colpo, ha liberato energie
esplosive. Una volta abbandonato il campo, è iniziato uno scambio di
‘gentilezze’ tra Siria, Iran e Israele.
In fin
dei conti, fin dagli anni di Nixon, è su questo che si regge la coalizione
delle armi e del petrolio: quel fine meccanismo in funzione del quale i
conflitti nei paesi produttori di petrolio, sono in grado di innalzare i
profitti degli stessi i quali saranno in grado, quindi, di acquistare quantità
sempre più elevate e sofisticate di armamenti aumentando i profitti
dell’industria bellica.
[1]
https://www.wsj.com/articles/israel-gives-secret-aid-to-syrian-rebels-1497813430
[3]
https://www.ecowatch.com/syria-another-pipeline-war-1882180532.html
[4]
https://www.ecowatch.com/syria-another-pipeline-war-1882180532.html
[5]
http://www.vietatoparlare.it/iniziati-test-lestrazione-del-petrolio-del-golan-la-societa-incaricata-azienda-americana/
[6]
https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-10-19/siria-dietro-conflitto-l-eterna-guerra-le-pipeline-161032.shtml?uuid=ADBvyXfB









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