Translate

martedì 20 agosto 2019

Arafat: fasti e nefasti di un terrorista Nobel per la Pace. I conti svizzeri, la corruzione dell’OLP, la CIA





Chiara Madaro


A volte gli eroi al comando sono solo nella fantasia di chi ci vuole credere. Ma quando ogni velo scivola via, mostra realtà desolanti. 
E’ il caso di Yasser Arafat, nome di battaglia Abu Ammar, morto in una clinica di Parigi l’11 novembre del 2004.
Un personaggio il cui percorso, ancora oggi, fa discutere. Leader storico dell’Autorità Palestinese, un tempo nota come OLP, Organizzazione per la Libertà Palestinese, Arafat ha incarnato il classico personaggio che si fa scudo di un popolo intero e del potere di un’ideologia, per raggiungere obiettivi del tutto personali.  

La vastità di questi interessi è tale che possono essersi realizzati solo disponendo di alte coperture ad ogni livello malgrado la brutalità di un regime terrorista.
D’altra parte “(…) faceva parte del disegno che l'autorità palestinese fosse brutale, repressiva e corrotta – secondo il politologo Noam Chomsky -  questo è esattamente ciò che Israele e Stati Uniti volevano, ecco perché Arafat piaceva (…). E se Arafat rubava denaro europeo o la sua Autorità viveva in ville lussuose a Gaza mentre la popolazione moriva di fame, andava bene, purché facessero il loro lavoro, controllare la popolazione e assicurare che fosse stabilita una dipendenza neo-coloniale da un lato, dall’atro assicurarsi che quelli che contavano non fossero danneggiati”[1]
Un punto di vista confermato dalle evidenze nel 2013, quando Wiki Leaks ha pubblicato 1,7 milioni di cablogrammi del Dipartimento di Stato statunitense risalenti agli anni tra il 1973 e il 1976 e, finalmente, declassificati.
  I cablo fanno parte dei cosiddetti ‘Kissinger Cables’ e mettono in luce come Arafat ricoprisse un ruolo centrale nella strategia statunitense pensata per i paesi del Vicino Oriente. Il giornalista d’inchiesta Lee Smith ha avuto la pazienza di studiare quella documentazione e riportarne il contenuto. Secondo Smith: “I diplomatici statunitensi sapevano che Arafat era un terrorista e che era responsabile non solo della morte di israeliani, ma anche di altri diplomatici americani, come l'ambasciatore Cleo Noel, assassinato a Khartum nel 1973 su ordine di Arafat. Ma Washington ha trascurato quei fatti per vincere quello che percepiva, giustamente, come un gioco molto più grande: la Guerra Fredda. 
Henry Kissinger
Durante gli anni di Kissinger – continua Smith - ciò che contava di più in Medio Oriente per gli Stati Uniti era il Golfo Persico, a causa delle sue vaste risorse energetiche. Il Mediterraneo orientale era importante solo nella misura in cui costituiva un altro luogo di scontro con i sovietici. Di conseguenza, Kissinger vedeva gli israeliani come un alleato strategico in grado di sconfiggere i possedimenti sovietici, incluso l'Egitto, che dopo la guerra del 1973 passò, infatti, dal campo sovietico a quello americano. Ma il fatto che Israele fosse un prezioso alleato americano – conclude il reporter nella sua analisi - non significava che Washington avrebbe voltato le spalle a figure arabe in grado di servire gli interessi americani più grandi, contrastando le ambizioni regionali di Mosca. I cablo mostrano che gli americani desideravano avere Arafat dalla loro parte”[2].
Arafat era considerato motivo di equilibrio a causa della guerra civile in Libano (antica provincia siriana) dove i profughi palestinesi si erano riversati a causa delle persecuzioni israeliane tra il 1948 e il 1975[3] . La guerra del Libano, che durò tra il 1975 e il 1990, fu innescata dal timore della componente cristiana di passare in minoranza a causa della quantità di arabi palestinesi che si riversava nel paese. Si calcola che nel ‘75 vi fossero circa 300 mila palestinesi in Libano. Sapere che la Palestina era guidata da un leader carismatico che proteggeva gli interessi della patria, costituiva, per i cristiani, motivo per credere che, prima o poi, la componente araba avrebbe fatto ritorno nelle proprie case, nelle proprie terre, e gli equilibri si sarebbero ricostituiti.   
La second guerra Israeliana contro il Libano
Contemporaneamente, nel 1974, in seguito alla guerra del Kippur e all’invasione delle alture del Golan da parte di Israele, anche la Siria iniziò a cercare di ampliare la propria influenza sul Libano, mentre cresceva l’intolleranza del Libano contro Israele. Insomma, una vicenda complicata in cui tutti erano contro tutti. Le fronde non accennavano a placarsi per cui soprattutto gli Stati Uniti, che avevano fatto promesse a destra e a manca pur di assicurarsi una sorta di ‘diritto di primogenitura’ sulle riserve fossili di cui l’area in questione era ricca, intendevano porre fine all'attuale conflitto arabo-israeliano. Il timore che una marcata conflittualità potesse danneggiare il loro prestigio agli occhi degli alleati aveva a che vedere con la possibilità che questi, alla fine, avrebbero potuto invertire la rotta e firmare con Mosca. Kissinger e il suo Dipartimento di Stato credevano che la risoluzione di questo conflitto sarebbe stato ben visto dagli amici arabi e al tempo stesso avrebbe danneggiato i sovietici. In quest’ottica,  Arafat era il loro asso nella manica.
Ed è in questo quadro che si inserisce il viaggio a Beirut nel 1976 del Senatore del Maryland Charles “Mac” Mathias e il suo incontro con Yasser Arafat. In cambio Arafat voleva il supporto statunitense nei confronti del ‘concetto di ‘Autorità Nazionale’ Palestinese nella West Bank e nella striscia di Gaza, oggi controllate da Israele[4]
   L’obiettivo di Arafat era di realizzare un unico stato palestinese che comprendesse Cisgiordania e Gaza. Sebbene sia Israele che Giordania, ritenevano assurda la richiesta di Arafat, il Primo Ministro israeliano Rabin, in particolare, escludeva qualsiasi trattativa con Arafat. Quest’ultimo fu, comunque, esaudito e due decenni dopo l’OLP, effettivamente, viene riconosciuto come Autorità Nazionale.
Dai cables non risulta con chiarezza fino a che punto gli israeliani avessero compreso il gioco ma, secondo Smith, è certo che sapessero come il capo dell’intelligence di Abu Ammar, Ali Hassan Salameh, una delle menti del massacro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, fosse una risorsa della CIA. La verità è che il cosiddetto Principe Rosso è stato molto più che significativo per le relazioni tra Stati Uniti e Arafat. In quanto loro intermediario, ricopriva un ruolo chiave e le sue funzioni istituzionali e militari, erano un simbolo rispetto alla natura della loro relazione.
D’altra parte per gli Stati Uniti, la sussistenza di un regime terrorista con cui fare accordi, non costituiva un ostacolo insormontabile: le guerre nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente non erano nulla in confronto alla guerra nucleare totale che si prospettava in quegli anni. Anche dopo il massacro di Maalot del maggio 1974, in cui membri del Fronte democratico per la liberazione dei palestinesi uccisero 25 ostaggi israeliani, 22 dei quali bambini, l’ambasciatore americano Goodley commentava come, davanti a quella terribile vicenda, sarebbe stato prioritario capire cosa fosse in gioco nello scacchiere globale.   

E’ per questo che le forze statunitensi avevano tentato di portare i fedayyn più estremisti, verso posizioni ‘moderate’, quindi non azioni violente ma dialogo e trattative di tipo politico.
D’altra parte la Dottrina Truman si basava sul concetto di ‘guerra perenne’, riconcettualizzato dal successore Eisenhower in ‘complesso militare-industriale’, ricorda il leggendario cronista d’inchiesta statunitense Seymour Hersh[5].
Un personaggio, però, che alla lunga è risultato indigesto anche a chi lo aveva sostenuto in passato (Saddam). Già nei giorni precedenti il decesso si parlava di un possibile attentato alla vita del leader palestinese che sembrano essere confermate dai risultati di un’indagine pubblicata nel 2013 da Al Jazeera e condotta in Svizzera. Secondo le fonti, i resti di Arafat contenevano quantità insolitamente elevate dell'isotopo radioattivo polonio 210. All’epoca dei fatti, gli scienziati che redassero il rapporto tennero a sottolineare come i risultati cui erano giunti non erano conclusivi, ma "avanzano moderatamente la proposta secondo cui la morte [di Arafat] fu la conseguenza dell'avvelenamento da Polonio-210". Curiosa moderazione dato che si parla di livelli 18 volte superiori rispetto al normale[6].
  Senza contare quanto riferito dal medico personale del leader palestinese, il dott. Ashraf al-Kurdi,  secondo il quale nel sangue di Arafat era presente il virus dell’HIV sebbene non fosse morto di AIDS. La notizia non ebbe, all’epoca, ulteriori approfondimenti: l’intervista che il dott. Al-Kurdi stava rilasciando ad Al Jazeera, fu bruscamente interrotta, secondo quanto riportato dal giornale israeliano on line Haaretz[7].
Una delle possibili cause di un eventuale attentato riguardava i molti nemici che, ormai, si contavano anche tra le fila di chi lo aveva storicamente sostenuto.
Il Mossad israeliano, la CIA, il presidente siriano Bashar al-Assad (il cui padre, Hafez, disprezzava Arafat), e persino i suoi più stretti collaboratori, lo vedevano, ormai come un ostacolo alla pace o al mantenimento di equilibri seppur formali nel Vicino Oriente. Perfino a Saddam Hussein, che aveva contribuito economicamente e generosamente con le battaglie del leader, non piaceva più. Nei suoi ultimi anni di vita, Saddam si riferiva nei confronti di Arafat con toni offensivi e sprezzanti[8].
Meno prudente di Al Jazeera è l’analista Chossudowsky[9], fondatore di Global Research, il quale parla apertamente di omicidio.
Secondo Chossudowsky esisteva, nei servizi americani, un’area dedicata alle operazioni extra-legali, che operava in maniera del tutto autonoma senza riferire ad alcuno le operazioni in atto. “Non riferiscono a nessuno – afferma Chossudowsky - tranne ai tempi di Bush-Cheney, quando hanno riferito direttamente all'ufficio di Cheney”. Neanche il Congresso ha una capacità di supervisione su quanto viene deciso da quest’ala particolare che opera in ogni parte del mondo, nel nome dell’ignaro popolo americano e della pace. Non si tratta, in realtà di fatti legati al passato.  “In recenti sviluppi, a seguito dell'approvazione del Congresso degli Stati Uniti, il presidente può ordinare l'assassinio "legale" di un cittadino americano o di uno straniero, negli Stati Uniti e all'estero, teoricamente come parte della "Guerra globale al terrorismo"  - afferma l’analista - L'assassinio segreto di leader stranieri è parte integrante di quella che viene eufemisticamente chiamata "politica estera degli Stati Uniti".  
 Arafat era considerato un 'ostacolo per la pace'

Ma la decisione di eliminare il leader arabo arrivò da Israele, secondo la ricostruzione di Global Research: “Nel 2003, il gabinetto israeliano per gli affari sulla sicurezza politica espresse "la decisione di rimuovere Arafat come ostacolo alla pace". Ma non menzionò quando sarebbe stato eseguito l'assassinio di Arafat: "sceglieremo il giusto modo e il momento giusto per uccidere Arafat". La decisione del governo israeliano fu anche oggetto di un dibattito in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di una mozione a condanna della decisione di Israele di assassinare Arafat. Tale decisione è stata approvata ufficialmente dagli Stati Uniti, che hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, conclude[10].
Ma la morte non è servita ad apporre un punto finale alla vita e alle opere di Yasser Arafat.
Un anno prima dell’improvvisa e misteriosa malattia, iniziò a diffondersi la notizia riguardante la deviazione di denaro pubblico su un conto privato svizzero ( Lombard Odier Bank di Ginevra) da parte di Arafat. Si parla di 300 milioni di $ appartenenti all’Autorità palestinese, un conto che, successivamente alla fuga di notizie, fu tempestivamente chiuso e di cui non si ha traccia. La notizia fece seguito ad una ulteriore e singolare divulgazione da parte del Fondo monetario internazionale, avvenuta nel settembre 2003, secondo cui Arafat aveva deviato su conti privati oltre 560 milioni di sterline di fondi dell'Autorità palestinese dal 1995 al 2000, mentre in un documentario della BBC si iniziò a parlare degli ingenti fondi (50mila $ al mese) versati dall’Autorità a beneficio di milizie armate di terroristi suicidi incaricati di attaccare obiettivi israeliani[11].
Nello stesso periodo anche l’Unione Europea iniziò a porsi degli interrogativi. "Tra il 2002 e il 2003, l'UE ha pagato 10 milioni di euro ( circa 1,5 miliardi di euro in 10 anni) all'Autorità palestinese senza alcun controllo", ha affermato Armin Laschet, all’epoca dei fatti, membro del Parlamento europeo dell'Unione Democratica Cristiana e copresidente della commissione di sorveglianza responsabile per gli aiuti palestinesi. ''[12].  
Inevitabile l’accusa di Israele secondo cui il denaro generosamente offerto dall’Unione Europea e destinato al vessato popolo palestinese, fosse, in realtà, stato utilizzato per finanziare il terrorismo ai danni di Israele. Una beffa se si pensa che, proprio Tel Aviv contribuiva anch’essa economicamente con la Palestina: in seguito agli zoppicanti[13] accordi di Oslo firmati alla Casa Bianca nel 1993 si era stabilito che Israele avrebbe incassato le tasse di vendita sui beni acquistati dai palestinesi e trasferito quei fondi al tesoro palestinese. 
  E non poteva, certo, mancare un po’ di peperoncino italiano. Nel 2018 l’Espresso[14] pubblica in anteprima mondiale il contenuto dei diari di Arafat, 19 volumi scritti a partire dal 1985 e terminati con l’improvvisa malattia, in ottobre 2004, quando lasciò Ramallah per essere ricoverato in un ospedale di Parigi dove morì di lì a poco. Dai diari si apprende, ad esempio, che in cambio di un riconoscimento pecuniario, Arafat confermò davanti ai giudici di aver ricevuto dei finanziamenti da Berlusconi. All’epoca dei fatti il padre di Forza Italia era sotto processo per finanziamento illecito al Partito Socialista di Craxi. Non mancano neppure dettagli sulla trattativa con Andreotti in seguito al dirottamento dell’Achille Lauro per mano di 4 terroristi palestinesi. In base agli accordi, Andreotti consentì al terrorista Abu Abbas di fuggire in Tunisia dalla Bulgaria. Dagli scritti autografi Andreotti, in particolare, viene descritto come il mediatore occulto tra OLP e USA. Curioso il particolare, ma forse neanche tanto, considerando l’evoluzione di altre dittature nel mondo, secondo cui non era Arafat a decidere le strategie militari. Lui veniva semplicemente informato di cosa sarebbe accaduto e, invariabilmente, benediceva i vari atti terroristici. Lasciava ad altri il ‘divertimento’ dello sfogo brutale. Un personaggio che, alla fine, diventa vittima di se stesso e quello che rappresentava.
Sotto accusa anche la moglie Suha, accusata di riciclaggio dalla gendarmeria francese la quale avrebbe appurato la ricezione di oltre 1 milione di $, 100mila dollari al mese, sui suoi conti personali svizzeri la cui fonte rimane ancora non chiarita[15].
Un colpo ai danni della credibilità di un leader e di un movimento che si dice nazionalista in un paese stremato da anni di guerre.
Salam Fayyad
Un colpo che ha permesso alla Banca Mondiale di entrare nel cuore finanziario dell’Autorità. La fuga di notizie ha, ovviamente, scatenato la folla contro il suo eroe e la corruzione del regime, per cui Arafat si è trovato costretto a nominare ministro delle finanze il tecnocrate Salam Fayyad, ex funzionario della Banca Mondiale, con l’obiettivo di risanare il libertinaggio finanziario dell’Autorità.  
Forse qualche leaks, più in là, svelerà come mai né i più potenti servizi di intelligence internazionali, né i più severi controllori finanziari si fossero accorti prima di dove andasse a finire quel denaro.
Rimangono i molti interrogativi di questa vicenda. Uno su tutti: fino a che punto è giusto abbandonarsi a quell’istinto infantile della guerra per bande e parteggiare per questa o quella fazione? Che senso ha, se gran parte di quello che avviene negli arcana imperii contraddice le nostre credenze? Che senso ha continuare a spendere energie a pensare ‘contro’ qualcosa o qualcuno piuttosto che a capire dove sia il guasto e porvi, finalmente, rimedio?



[6] Michel Chossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781

[7] Danny Rubinstein , 12 Ago 2007, ‘Arafat's Doctor: There Was HIV in His Blood, but Poison Killed Him’, in: https://www.haaretz.com/1.4961243

[8] Mark Perry, “A Martyr Unmartyred”, 8 novembre 2013, in:
[9] Michel Cossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[10] Michel Cossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[11] Inigo Gilmore, Arafat 'diverted $300m of public money to Swiss bank account', 09 Nov 2003, in:
[14] Lirio Abbate, “Esclusiva mondiale, i diari segreti di Arafat: Craxi, Andreotti e i fondi neri di Berlusconi” , 2 febbraio 2018, In: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/02/02/news/esclusiva-mondiale-i-diari-segreti-di-arafat-craxi-andreotti-e-i-fondi-neri-di-berlusconi-1.317886

Nessun commento:

Posta un commento