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giovedì 1 agosto 2019

Il Paradosso della Rana Bollita: La Cina in Africa; le relazioni win-win; FMI vs AIIB.



Chiara Madaro




Il Paradosso della Rana Bollita è l’espediente che si usa per spiegare la strategia della gradualità e ben si adatta alla tattica che la Cina ha adottato nel porsi alla conquista del vessato continente africano.
Con la lenta e potente forza di uno tsunami, il capitalismo Cinese ha saputo proporsi attraverso la narrativa dei due supercontinenti marginalizzati dall’occidente che, infine e con le proprie forze si riprendono autonomia economica, finanziaria e, quindi, politica.
Il primo passo di questa sorta di alleanza sino-africana ha avuto inizio in Tanzania con la costruzione di Tazara, la prima ferrovia che unisce Dar es Salaam allo Zambia. Si tratta di un’opera di 1000km che risale agli anni 70 consentendo al Paese uno sbocco sul mare diretto. 




L’offerta di aiuto da parte della Cina arrivò in conseguenza di innumerevoli precedenti richieste di cooperazione con l'Occidente da parte del Paese africano. Tutti andati a vuoto.
Questo accordo costituì una sorta di test. 
La Cina interrompe, poi, ogni ulteriore intervento all’estero e impegnandosi a crescere  entro i propri confini. Fino al 2000, quando nasce il FOCAC, Forum per la Cooperazione Africa Cina. 


https://www.focac.org/eng/https://www.focac.org/eng/

Da allora i due colossi hanno incontri triennali in cui vengono focalizzati gli obiettivi e le necessità di tutte le parti in causa. In un sistema relazionale complesso come quello attuale, la Cina è stata in grado di aggiudicarsi quasi il 90% delle esportazioni di materie prime africane. La Cina è, con ciò, diventato il primo paese produttore di cellulari ed hi-tech che verranno importati come prodotto finito dagli Stati Uniti. 
Justin Yifu Lin, ex Chief Economist della Banca Mondiale dice: “Ovviamente si parla subito di nuovo colonialismo. Le cose sono un po’ diverse, rispetto a quando le potenze occidentali si sono accaparrate queste risorse, senza pagare un prezzo equo ai paesi africani. Noi stiamo seguendo le regole del mercato! È proprio grazie alla domanda cinese che il prezzo di queste materie prime è aumentato. Questo crea ricchezza, e i paesi africani possono usarla per migliorare le infrastrutture e diversificare le loro economie”[1]. In effetti la Cina ha studiato il sistema vigente e lo ha riprodotto a proprio vantaggio anche attraverso il cosiddetto Metodo Angola. 


Infrastrutture cinesi in Africa. Secondo Eorld Finance, una tecnica di controllo del continente

Qui i cinesi hanno finanziato la costruzione di infrastrutture ripagate in petrolio. I trattati di cooperazione sino-africani prevedono anche uno scambio di conoscenza culturale e linguistico, si punta sulla ricerca. Con la Cina, l’Africa non sente di essere un problema ma una risorsa da valorizzare. Qui, per la prima volta, molte persone sono state formate e lavorano regolarmente, non sono costrette a sopravvivere a se stesse attraverso gli ‘aiuti’ occidentali.
Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo. E’ l’Africa orientale il target che la Cina predilige. Durante il 2° FOCAC, Investment Forum China Africa di Marrakech tra il 27 e il 28 novembre 2017 la Cina e l’Africa si sono confrontate sugli ulteriori interventi che gli asiatici intendono mettere in campo nel continente nero, tanto ricco di risorse quanto privo di infrastrutture.
La Cina è una delle principali regioni minerarie esistenti al mondo ma la sua rapida crescita sta determinando un altrettanto rapido esaurimento delle risorse disponibili. Per questo il tasso di ‘burn rate’ o rapporto R/P (riserve/produzione) è già in rosso[2].


Figura 1 . Rapporto R / P (tasso di "burn rate") per la Cina rispetto alla media mondiale R / P, anni. Fonti: compilazione di USGS, BP, paese e altri rapporti.

La zampata del Grande Drago finisce, quindi, per raggiungere i vasti giacimenti minerari del continente africano. La strategia varata nel 2006 e nota come ‘Due risorse, due mercati’, ha incoraggiato sempre più numerose aziende statali a percorrere il continente nero alla ricerca di zone estrattive e crescere esponenzialmente in pochi anni.

     
Figura 2 . Evoluzione delle attività cinesi di estrazione mineraria. Fonte:Intelligence Mine

 I dati ufficiali a disposizione potrebbero, comunque, non essere veritieri a causa della  scarsa trasparenza nelle relazioni Cina/Africa.
Nel 2012, la China General Nuclear Power Corporation (CGNPC) ha acquisito il progetto Husab in Namibia, uno dei più vasti giacimenti di uranio esistenti al mondo. In meno di tre anni a partire dall’inizio dei lavori di movimento terra avviati da CGNPC, è stata conclusa la terza miniera di uranio per estensione esistente al mondo[3].


La Cina in Africa dal 2006 al 2015. Fonte: IM

Anche il Congo garantisce ricchi depositi minerari capaci di assicurare la tenuta di una produzione tecnologica sempre più ‘smart’ e sempre più presente nel mercato internazionale. Il Coltan in particolare è un minerale molto richiesto a causa delle proprietà radioattive indispensabili alla conduttività nell’industria aerospaziale e hi-tech. Il Congo ne è ricchissimo e soffre, per questo, una spaventosa crisi umanitaria. Qui, a Kamoa, la Cina detiene anche diritti su quello che è considerato essere il più grande giacimento mondiale di rame mai esplorato precedentemente ed è tra i primi produttori di diamanti.
Solo il Sud Africa produce il 52% di cromo al mondo, è leader mondiale nella produzione di manganese e metalli del gruppo del platino (PGM) con il 92% delle riserve mondiali e ha le più ricche riserve d’oro a livello globale.


Investimenti cinesi in Africa

Ma nel giro di pochi anni le condizioni sono mutate. Il prezzo delle materie prime è drasticamente calato e i paesi africani che hanno beneficiato dei prestiti cinesi, non sono più stati in grado di ripagare il debito contratto per la costruzione di infrastrutture. Quindi, per reggere, hanno bisogno di poter contare su manodopera a basso costo.
Anche qui la Cina si comporta come l’Occidente. Il costo ‘domestico’ del lavoro sta crescendo e non consente più di ottenere profitti alti. 




Per cui, per massimizzare i propri profitti, le fabbriche delocalizzano in Africa. Qui i salari sono bassissimi ma garantiscono comunque un’entrata fissa a decine di migliaia di persone. E’ per questo che, per quanto gli standard nel settore occupazionale e salariale non siano ottimali, trovano, comunque, largo consenso.
Fondamentale per la buona riuscita degli accordi: la Cina non pone condizioni come l’Occidente. 
Questi elementi hanno innescato cambiamenti tangibili nel Continente Nero che, però, dovrà essere in grado di fare la sua parte e creare le condizioni politiche e amministrative affinché questa opportunità resti tale per il maggior numero di cittadini.




Certo, si tratta di mercati difficili. Le instabili condizioni politiche ed economiche in cui versano i Paesi africani, unitamente alle gravi carenze infrastrutturali e alla dilagante corruzione e carenza nel rispetto dei diritti umani, le frequenti guerriglie, hanno tenuto lontane le aziende occidentali, ad eccezione di quelle che lavorano nel settore estrattivo.
Pechino, al contrario, ha dimostrato maggiore disponibilità e adattabilità alle turbolenze africane, come documentato dai dati elaborati da Intelligence Mine, il maggior gruppo di intelligence a livello globale, orientato sul mercato dei minerali. L’immagine di IM rappresenta una crescente produttività mineraria africana concomitante alla presenza cinese nel Continente nero[4].
Ma l’Africa vive di contraddizioni e rapporti sociali tremendamente squilibrati. Alla povertà estrema si contrappone la realtà di enormi megalopoli.


Il prezzo dell'oro - miniere cinesi in Ghana, documentario del Guardian

Dunque allacciare relazioni con i vicini d’oltreoceano non è solo occasione per ottenere forza lavoro a basso costo; in Africa il Grande Drago ha un’ulteriore e profittevole opportunità: intessere rapporti con un’area del mondo capace di assorbire prodotti cinesi di vario genere.
L’Oceano Indiano si appresta, dunque, a diventare un’area commerciale apprezzabile paragonabile a quella del Pacifico, e capace di alterare gli equilibri esistenti tra Stati Uniti, Giappone e India. Ma la circolazione delle merci ha bisogno di infrastrutture.
In Africa orientale  il Progetto OBOR, One Belt One Road, prevede la costruzione di porti, strade, ferrovie che possano facilitare il trasporto delle merci.
Con l’obiettivo di uno sbocco atlantico per le merci e le fonti energetiche, sono stati costruiti anche collegamenti ferroviari con l’Angola. 




La realizzazione di collegamenti gomma/ferro tra le due sponde oceaniche australi del continente, è vista di buon occhio dagli stessi Paesi africani che non hanno sfoghi sul mare e possono, finalmente, contare su collegamenti più snelli utili agli scambi commerciali.
Lo storico obiettivo di assicurarsi una via che dalla terraferma possa raggiungere mari e oceani, oggi solcati da mega navi porta container, prosegue anche nell’era dei più veloci collegamenti aerei. Il trasporto navale consente, infatti, carichi dai volumi imponenti.
Il percorso navale necessario al raggiungimento del Continente Nero dalla Cina, prevede il passaggio obbligato attraverso lo Stretto di Malacca, un corridoio lungo 800 Km e, nel punto più stretto, largo 2,8 Km. Attraverso questa ‘superstrada dei mari’, passa il 40% del commercio mondiale e la maggior parte dello scambio di idrocarburi. Un luogo strategicamente indispensabile ma controllato militarmente dagli Stati Uniti stanziati sull’Isola di Diego Garcia.



E’ questa presenza il motivo per cui la Cina ha iniziato a diversificare i ‘passaggi in Africa’ aprendo la rotta del Porto di Gwadar in Sri Lanka, destinato a diventare un terminal importante. Gli investimenti sono stati di una portata tale che lo Sri Lanka non è stato in grado di ripagare il debito per cui a inizio 2018 il Celeste impero ha rinegoziato gli accordi e ottenuto il controllo del porto di Hambantota per 99 anni. Intanto ha continuato ad investire 1 miliardo di dollari nella costruzione di tre torri da 60 piani, futuro quartier generale della ‘città internazionale della finanza’, a Colombo. Investimenti preceduti dalla realizzazione dell’enorme aeroporto internazionale di Mattala Majapaska rimasto in gran parte inutilizzato.


Aeroporto Internazionale di Mattala Majapaska

Il contesto rimane sempre quello della rassicurante retorica ‘win win’, in virtù della quale sono tutti a guadagnarci. Ma è davvero così?
Alcuni analisti osservano proprio il caso dello Sri Lanka, il primo Stato ad aver accettato i prestiti cinesi.  Se ne evidenziano i rischi impliciti per chi decide di accettare un aiuto da parte della Cina rimanendo in una posizione debitoria.
Lo storico e sinologo D.A.Bertozzi segnala un recente studio e inserisce nell’elenco dei paesi a rischio anche Gibuti, Maldive, Laos, Montenegro, Mongolia, Tajikistan, Kirghizistan e Pakistan e, attraverso lo studioso indiano Chellaney dice: ”Proprio come le potenze imperiali europee hanno impiegato la diplomazia delle cannoniere per aprire nuovi mercati e avamposti coloniali, la Cina usa il debito sovrano per piegare gli altri Stati al proprio volere senza dover spargere un solo colpo. Come l’oppio esportato dagli inglesi in Cina, i facili prestiti offerti dalla Cina creano dipendenza. E poiché la Cina sceglie i suoi progetti in base al loro valore strategico a lungo termine, essi possono produrre rendimenti a breve termine insufficienti che non permettono ai paesi di rimborsare i loro debiti”[5].


L'analista indiano Chellaney sul Washington Times critica l'aggressiva politica cinese

Alcuni leader africani hanno, però, già compreso da tempo la possibile trappola.
Non sono in pochi a vedere nel serafico metodo cinese una nuova e più pericolosa forma di colonialismo finanziario[6].
Nel 2011 la Cina investiva già fortemente in Zambia, nelle miniere di rame, quando viene eletto un candidato fortemente critico nei confronti dei facili investimenti cinesi. Dubbi confermati un paio d’anni dopo dal governatore della Banca Centrale della Nigeria, Lamido Sanusi, il quale parla di ‘una nuova forma di imperialismo’[7].
Vittima di Pechino anche la Russia che in questi anni ha perso importanti aree di interesse rientrate, quindi, nella sfera cinese: Uzbekistan, Siberia e moltissimi altri tra i 60 Paesi che si trovano sui percorsi segnati dalla Nuova Via della Seta. La Cina ha realizzato investimenti importantissimi nei deprivati Paesi dell’Est Europa, che difficilmente potranno essere ripagati.



Ma per la Cina, non è un problema. Se il paese debitore non è in grado di ripagare il prestito, dovrà cedere quei porti, quelle ferrovie, quelle infrastrutture al paese creditore che se ne avvantaggerà economicamente, determinando una dipendenza economica e politica.
D’altra parte la forza della BRI sta nella sua ambiguità, giocata su molte ‘strade’ e ‘cinture’, sta nella sue generosità e nella sua apparente mitezza. Uno sfoggio di soft power, per Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale del Porto di Venezia[8] capace di ispirare fiducia proprio perché, al contrario di altre potenze globali, non aggredisce o minaccia per imporsi.
La Cina, anzi, esce dell’isolamento attraverso 5 capisaldi nelle relazioni internazionali, i noti 5 principi di coesistenza pacifica ispirati dal primo ministro Zhou Enlai nel 1953[9]:


Zhou Enlai

rispetto della sovranità dei singoli Stati e della loro integrità territoriale
principio di non aggressione
non ingerenza negli affari interni dei singoli Paesi
uguaglianza e vantaggio reciproco
coesistenza pacifica
Una sorta di pax-orientale in cui in sostanza la Cina chiede all’Occidente la non ingerenza nelle questioni riguardanti la lesione dei fondamentali diritti umani non solo in Cina ma anche negli altri Paesi con cui si intrattengono relazioni commerciali. Perché ciò che conta è fare affari.
Braccio finanziario dei progetti in campo è AIIB, Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture, fondata nel 2014. AIIB nasce da un fondo sovrano (Cif) con cui la Cina acquista titoli di Stato USA, un modo redditizio e sicuro per investire le vaste riserve di valuta estera in espansione grazie alle esportazioni. Per oltre un decennio la Cina ha utilizzato parte di queste riserve incoraggiando imprese statali a lavorare all’estero nel campo delle infrastrutture e dell’industria mineraria, principalmente[10].


Principali partner di AIIB

Malgrado la sua recente nascita, l’AIIB ha già ottenuto l’adesione di forze NATO come Regno Unito, Germania, Francia e Italia. 
Tuttavia il recente vertice di Davos ha messo in evidenza le preoccupazioni dell’Occidente  e delle Organizzazioni non Governative dedite al rispetto dei diritti umani e ambientali definendo ‘amorale’ l’approccio cinese nei paesi poveri.
Si è affermato che, mentre Banca Mondiale sta, ormai, transitando verso progetti energetici orientati sempre più ad abbandonare il carbone e al rispetto dei diritti delle popolazioni locali, la Cina, al contrario, pare non farsi troppi scrupoli.


Angela Merkel a Davos 2019

Per le ONG, gli sforzi decennali condotti in direzione di un’inversione di tendenza virtuosa, si stanno frantumando davanti alla palese mancanza di etica dimostrata dagli orientali. Ma il vicepresidente di AIIB per il settore politico e strategico, Joachim von Amsberg, dopo una lunga esperienza in Banca Mondiale (25 anni), contrattacca dicendo che la Cina, nell’avviare accordi con gli 84 Paesi con cui in questi anni ha allacciato relazioni commerciali (in qualità di prestatore), si allinea agli standard del Paese ospite e in conformità e rispetto delle nome vigenti. “Chiunque preferirebbe gli investimenti cinesi se l’alternativa è la Banca Mondiale - dice a Reuters Moshiur Rahman, consigliere economico del Primo Ministro del Bangladesh - a differenza degli investitori occidentali, non sono preoccupati per quante persone hai messo in prigione”[11].
In queste considerazioni è racchiusa la scaltrezza orientale che poggia, va detto, sull’ipocrisia occidentale.
Occidente che si appresta ad ingoiare il frutto amaro dei propri errori. Nello stesso anno in cui dagli Stati Uniti partiva la crisi finanziaria, la Cina diventava il principale detentore di titoli del Tesoro USA con 493 miliardi di dollari che al 2013 hanno superato gli 1.2 trilioni[12].


Chi detiene i titoli di Stato USA

Pare evidente il tramonto del modello di sviluppo mondiale dominante, sostenuto e diretto dal ruolo chiave dell’economia statunitense, il cosiddetto Washington consensus e gestito da importanti organismi internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e soprattutto il WTO (World Trade Organization) attraverso le cui iniziative si decidono le sorti del mondo[13].
E’ a questa tradizione che si contrappone AIIB. Esistono veramente differenze?
Il WTO è un organismo internazionale e straordinariamente potente nato il 1 gennaio del 1995 e oggi comprendente 157 paesi. La Cina è membro dal 2001. Alcuni studiosi hanno messo in evidenza le effettive finalità di questa organizzazione in maniera organica e ricchissima di riferimenti[14]. Si è, così, delineata una realtà secondo la quale ‘già nei primi cinque anni di esistenza il WTO ha avuto effetti di vasta portata su posti di lavoro, tenore di vita e salari, leggi nazionali e internazionali che regolano la sicurezza sanitaria ambientale ed alimentare, nonché sullo sviluppo economico, sui diritti umani, sul commercio e gli investimenti mondiali.


Cerimonia di ingresso della Cina al WTO

Dal cibo, al lavoro, all’ambiente, alla salute, la nostra vita è decisa da questa istituzione.
La Banca Mondiale (Bm) e il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) sono, invece, due organismi finanziari nati nel secondo dopoguerra allo scopo di aiutare quei paesi che, all’indomani del conflitto, necessitavano di fondi per lo sviluppo.
Nei decenni successivi, una volta avviato il meccanismo di ripresa economica, questi due organismi hanno rivolto il loro interesse nei confronti dei paesi in via di sviluppo attraverso mastodontici progetti che avevano l’obiettivo primario di ridurre la povertà. Grandi dighe, strade, ponti, coltivazioni intensive, sembravano essere la cura per la povertà.
Ma negli anni '80 iniziano a verificarsi le prime crepe nel sistema e l'Associazione americana dei giuristi chiede l'intervento del Tribunale permanente dei popoli per esaminare le violazioni delle norme di diritto internazionale in materia di autodeterminazione dei popoli da parte di Fmi e Bm. Il Tribunale, creato nel 1979 da Lelio Basso - giurista e intellettuale fondatore del Tribunale stesso in seguito alle sollecitazioni emerse in occasione del Tribunale Russell II sulle dittature in America Latina – si riunisce a Berlino Est nei giorni 26-29 settembre 1988 ed emana una “Sentenza sulle politiche del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale”[15].


Lelio Basso

Secondo questo documento: “(…) la politica di adattamento strutturale della Banca Mondiale/FMI ha causato un crescente trasferimento netto di risorse dai paesi debitori a quelli creditori. Di conseguenza la vita e i suoi standard nei Paesi debitori sono peggiorati. L'ambiente è stato danneggiato irreversibilmente e sono stati distrutti territori delle popolazioni indigene. Dovrebbe essere, perciò, preso in considerazione il pagamento di un risarcimento”.
Negli anni ’80, infatti, emergono una serie di contraddizioni in merito alle politiche intraprese da questi due organismi. Con la regola della ‘crescita attraverso l’indebitamento’, Bm e Fmi iniziarono a prestare ai Paesi in via di sviluppo notevoli somme di denaro. Con ciò sarebbe stato possibile abbattere intere foreste per favorire la costruzione di strade, grandi dighe,  coltivazioni estensive ed intensive, ecc. che avrebbero consentito a questi paesi di crescere economicamente allacciando rapporti vantaggiosi con i paesi sviluppati.
Ma, ben presto, si evidenziarono delle falle nel sistema. 


Aumento del debito negli anni 70.80 in America Latina
In molti casi i costi per la realizzazione di questi progetti  lievitarono fino al 70% in più rispetto alle previsioni e anche i tempi di realizzazione si prolungarono. In questo scenario, ancora oggi attivo, a pagare il prezzo più alto sono state le popolazioni locali, costrette a gravosi spostamenti che hanno comportato la perdita di ogni loro avere senza essere in alcun modo ricompensati. Gravi e irreversibili anche i danni all’ambiente. Alla fine, i benefici di questi progetti hanno investito solo una piccola parte della popolazione locale mentre gli stati debitori non sono riusciti a riempire il debito pubblico che, anzi, è cresciuto, non è, ad oggi, stato colmato, determinando dipendenza politica ed economica dagli Stati più avanzati[16].
Con la sentenza sulle politiche del Fondo monetario internazionale e di Banca mondiale il Tribunale permanente dei popoli denunciava i grossi disequilibri esistenti tra paesi sviluppati e non. 




In particolare, in questo documento, emergevano dati impressionanti sull’aumento della povertà estrema in Africa, Asia, Sudamerica. Dati che permettevano al Tribunale di giudicare gli anni ’80 come un decennio perso per lo sviluppo. Secondo gli esperti, il rischio di affondamento delle banche, causato dalla crisi del debito estero che si è aperta all’inizio degli anni ’80, è stato sanato sulla pelle dei paesi e delle popolazioni più deboli che, in tutti questi anni, hanno fornito a banche multinazionali e società private l’opportunità di ottenere profitti. Il risultato è stato che in paesi come l’Argentina, ad esempio, la disoccupazione è aumentata a livelli vertiginosi nel giro di due anni; tra il 1983 e il 1985 è stato registrato un incremento del 58% mentre i salari hanno subito un brusco calo.


Aumento del debito estero dell'America Latina dagli anni 70 ad oggi

Secondo la relazione del Tribunale, le ragioni di questo fallimento sono attribuibili a 4 motivi fondamentali:
- L’eredità coloniale che ha lasciato pratiche economiche, sociali e politiche che già contenevano in loro i germi di uno sviluppo "indebitato";
- le politiche di governi e classi dirigenti nei paesi in via di sviluppo;
- le politiche monetarie adottate dai paesi industrializzati in risposta alla crisi, in particolare - il drastico aumento dei tassi di interesse dal 1979 in poi;
- le cosiddette "scosse esterne", cioè le tendenze del mercato mondiale che sono al di fuori del controllo dei paesi in via di sviluppo (per esempio, i prezzi del petrolio, le condizioni commerciali, il protezionismo nei paesi industrializzati, i forti aumenti dei tassi di interesse, ecc.)


La Transamazzonica fu una delle più contestate ìgrandi opere' volute da FMI e BM allo scopo di facilitare i commerci in Brasile

Fmi e Bm tendono in genere a sottovalutare l’importanza dei fattori esterni attribuendo la ragione del fallimento a quei paesi che, all’epoca dei fatti, venivano ancora definiti ‘terzo mondo’, e che non erano stati capaci di adeguarsi alle nuove regole del mercato globale.
Secondo il Tribunale alcuni organi sussidiari delle Nazioni Unite che si occupano di diritti della salvaguardia dei diritti umani come ad esempio l’Ecosoc, potrebbero “esaminare la contraddizione fra politica di adattamento del FMI e la salvaguardia dei diritti umani”. Contradizioni che finiscono per ricadere sulla finanza globale.


Omicidi di difensori dell'ambiente e dei diritti umani a fronte di opere di Land Grabbing

Già nel febbraio del 1983 si sapeva che una delle minacce che pesano sul sistema finanziario internazionale è che i paesi indebitati  possano dichiarare bancarotta col conseguente rifiuto di ripagare i paesi creditori; ma un’altra minaccia risiede nell’ipotesi opposta e cioè che i paesi debitori potrebbero pagare tutti i loro debiti. In altre parole l’esistenza dei paesi debitori è di vitale importanza per l’esistenza dell’FMI e di tutta la struttura socio economica che rappresenta.
Se le regole del Capitale sono queste, dovrebbe funzionare così anche per AIIB.
A posteriori si comprende che nella storia economica della seconda metà del XX secolo, il prestito internazionale, incluso nel concetto di ‘aiuti’ dei Paesi  industrializzati (PI) allo sviluppo del Terzo mondo, sono serviti come mezzo efficace per approfondire l’integrazione dei paesi poveri nel sistema mondiale di mercato ma è anche vero che questi Paesi sono sempre rimasti in una posizione  subordinata sia a causa del colonialismo sia a causa delle cifre astronomiche del debito estero.



Tale subordinazione in relazione ai grandi centri del capitale mondiale si mantiene nel caso di prestiti internazionali attraverso la manipolazione del sistema di interessi realizzata in forma esclusiva dalle grandi banche e dagli organismi statali di controllo della moneta e del credito[17].
La convivenza con l’indebitamento non è una cosa nuova nel sistema economico occidentale. Ecco perché in diverse circostanze del dialogo Nord-Sud e a più riprese, i Paesi poveri hanno proposto un dibattito serio sulla questione finanziaria del Terzo Mondo.



In occasione della prima Conferenza Mondiale UNCTAD a Ginevra 1964, si decise di definire le relazioni commerciali con la parola ‘commercio’ e non ‘aiuti’ e di avviare queste relazioni commerciali ad uno scambio giusto ed equo invece di prediligere prestiti e crediti vincolati. Ma l’invito non sortì nessun effetto e nessun risultato. In occasione della III UNCTAD a Santiago nel 1972 i PI evitarono ancora una volta il dibattito sui problemi finanziari del terzo mondo e si decise di destinare appena il 4% dei Diritti Speciali di Prelievo[18] dell’FMI ai paesi poveri. Alla IV UNCTAD di Nairobi nel 1976 il Gruppo dei 77 suggerì finalmente l’istituzione di una conferenza speciale tra creditori e debitori per negoziare una moratoria o una cancellazione del debito estero per  i Paesi che si trovavano sull’orlo della bancarotta dal 1980.



Ma ancora una volta il tutto rimase senza risultato a causa di alcuni dei paesi più forti del sud del mondo che temevano un taglio del credito tale per cui sarebbero diventati le maggiori vittime del problema che intanto si evitò di affrontare.
Il blocco arabo del petrolio destinato agli alleati di Israele costituì un importante e critico momento nelle relazioni finanziarie tra Stati: permise alle ‘sette sorelle’ - le grandi imprese transnazionali del petrolio (ETs) – di manipolare i prezzi sul mercato elevandoli a prezzi senza precedenti; dall’altro la convinzione degli ETs che i combustibili fossili potessero terminare nell’arco di 20-30 anni portarono a pensare fosse necessario scoprire nuove fonti alternative per continuare a dominare il mercato mondiale[19].



Una parte considerevole di queste quantità miliardarie fu giocata dalla speculazione finanziaria  insieme ai dollari eccedenti che giungevano ai Paesi OPEC. Questo capitale speculativo fu in parte disperso, in parte usato. Le potenze europee iniziarono a vendere più prodotti ai paesi produttori di petrolio come anche a raccogliere investimenti in dollari. Gli interessi nordamericani in particolare servirono come forte attrattiva dato che aumentarono in proporzione diretta alla crescita del deficit di bilancio provocato principalmente dal costo miliardario della corsa agli armamenti.



Gli anni 70 furono pertanto caratterizzati dalla scalata delle banche verso una posizione che le pone tra i più forti agenti del sistema capitalista mondiale. Nel 1982 le 100 maggiori banche del mondo registravano un patrimonio che raggiungeva i 4,46 milioni di miliardi in dollari USA o più della metà del prodotto mondiale lordo e più di due volte la cifra delle vendite delle 200 più grandi imprese industriali. Come usare tanto denaro in modo da renderlo sempre più produttivo? Prestandolo ai grandi conglomerati transnazionali e ai paesi del terzo mondo. L’abbondanza di denaro nel sistema bancario internazionale finanziò i miracoli economici e la corruzione in Brasile, Messico, Nigeria, Zaire, Polonia.
Sotto accusa anche le eccedenze di Germania e Giappone che sono andate a riempire i debiti degli Stati Uniti a scapito dei Paesi svantaggiati.


La top ten delle banche a livello mondiale

Con l’arrivo di Reagan al potere nel 1980 gli interessi bancari fecero un salto in avanti anche in base alle previsioni che la politica bellicista della Casa Bianca avrebbe provocato un maggiore debito, cosa che in effetti si verificò. Questo attrasse più dollari verso gli Stati Uniti che intensificarono i prestiti ai Paesi che già dovevano affrontare grossi problemi nel pagamento dei debiti contratti prima del 1980. Con l’aggravamento dei prezzi dei prodotti esportati dai paesi del Terzo Mondo la spirale del debito si rese incontrollabile.
I principali responsabili della rapida espansione del credito alla fine degli anni 70 furono le banche private nord americane ed europee che usarono il profitto proprio in sede creditizia ai vari paesi del Terzo Mondo. Così tra il 1974 e 1980 il debito estero di questi paesi triplicò passando da 150 miliardi di dollari USA a 450,4 miliardi di dollari che nel 1984 diventarono 800 miliardi di dollari. L’America Latina fu la più colpita dalla crisi e vide il suo debito crescere di 2,3 volte tra il 1980 e il 1984 mentre le banche aumentarono i loro prestiti del 420% tra il 1974 e il 1980.



Uno dei fenomeni che si verificò non solo tra i paesi del Sud del mondo ma anche tra i paesi creditori fu la vertiginosa speculazione finanziaria stimolata dalle grandi banche. Le banche finanziarono la concentrazione industriale e in appena cinque anni si registrò un numero delle fusioni delle imprese in Europa cinque volte superiore rispetto a quello di venti anni prima e finirono per indebitarsi fortemente gli stessi PI.
L’FMI creato dopo la seconda Guerra Mondiale per risolvere problemi finanziari dei paesi membri con  problemi di bilancio nei pagamenti, fu innalzato negli anni successivi ad organo di controllo delle economie nazionali in crisi, in difensore degli interessi dei creditori e della salvaguardia della precaria stabilità del sistema finanziario internazionale. La sua funzione finì per diventare quella di prestare dollari ai paesi che ne avevano bisogno.




 In cambio l’FMI impone ai paesi debitori un ricettario che doveva essere uguale per paesi diversi come il Brasile, il Sudan o le Filippine. Tale ricettario basato su principi di tipo esclusivamente monetarista prevedeva una politica economica recessiva con grande deprezzo della moneta locale, una forte riduzione delle esportazioni, la riduzione dell’offerta di impiego, del potere di acquisto dei salari e del credito sussidiario in modo da diminuire in modo drastico le spese pubbliche (uno stimolo agli investimenti stranieri).
Pertanto malgrado i paesi debitori facessero grandi sforzi per poter mantenere la puntualità nel pagamento dei debiti, quattro fattori contribuivano per rendere questi sforzi sempre più inutili: 
a) la manutenzione degli alti tassi di interesse; 
b) la caduta dei prezzi dei prodotti di esportazione del terzo mondo; 
c) l’aumento dei prezzi dei prodotti industriali che era necessario importare; 
d) il protezionismo dei PI che punivano i prodotti del Terzo Mondo.
Questa contraddizione è generata proprio dalla transnazionalizzazione come nel caso dell’UE che convive con un grande deficit commerciale e alti tassi di disoccupazione mentre nei Paesi indebitati lucra grandi somme con le esportazioni.
Prendiamo come esempio delle conseguenze della politica dell’FMI il Brasile. Malgrado i grossi sacrifici imposti alla società il debito brasiliano crebbe del 22% tra 1982 e il 1984. Ogni brasiliano aveva un debito di  610 dollari nel 1981 che diventarono 769 nel 1984.
Gli esperti hanno nel tempo continuato ad auspicare una revisione e un rimodellamento in senso democratico di Fondo e Banca. Ma a distanza di decenni poco è cambiato nel sistema. Le politiche per la mitigazione dei cambiamenti climatici hanno, anzi, contribuito a peggiorare la situazione.


In aumento gli investimenti in progetti estrattivi per l’approvvigionamento di energia proveniente da combustibili fossili con conseguenti ricadute negative sia in campo ambientale che dei diritti umani per le popolazioni locali. 
E per il futuro le prospettive non appaiono migliori. Con gli accordi varati in seguito al Protocollo di Kyoto, è stato dato il via ad una serie di meccanismi come i Meccanismi per lo sviluppo pulito (Cdm – Clean Development Mechanism), che prevedono una collaborazione tra Paesi sviluppati e Paesi con economia in transizione o in via di sviluppo. Secondo varie fonti tra cui il Centro di documentazione conflitti ambientali (Cdca) e la Campagna per la riforma della Banca Mondiale (Crbm), ancora una volta, sotto la bandiera dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, vengono avviati una serie di progetti per la mitigazione dei cambiamenti climatici che in realtà colpiscono proprio i gruppi e gli ecosistemi maggiormente vulnerabili.



Ancora una volta questi megaprogetti vedono il coinvolgimento della Banca Mondiale. Nel 2005 durante il vertice del G8 di Gleneagles i Paesi sviluppati hanno, infatti, incaricato la Bm di elaborare una strategia di investimenti che tenesse in considerazione l'accesso all'energia delle popolazioni più povere tenendo conto della crisi del sistema climatico. Con ciò la Bm ha avviato progetti puntando sul carbone e le grandi centrali idroelettriche, evidentemente rientranti nell'idea di energia pulita dei progettisti. Una richiesta reiterata nel 2009 in occasione della Conferenza delle Parti di Copenhagen (Cop15) dove con gli Accordi si stabilisce che il nuovo Copenhagen Green Climate Fund - un meccanismo finanziario pensato per la promozione di progetti, programmi e politiche di adattamento ai cambiamenti climatici per i paesi in via di sviluppo -  venga gestito da Bm. 


A gennaio 2019 la discussa Cop 24 di Katowice in Polonia non ha mostrato scenari differenti. Nessuno intende recedere dal proprio diritto ad inquinare, malintesa via per lo sviluppo. Questo mentre FMI e BM continuano a fare pressing affinchè aumentino le grandi opere e le attività estrattive, in particolare quelle legate al gas, elemento che in Europa può essere ancora spacciato per ‘pulito’ senza che nessuno tra i ‘decisori’ ascolti chi fa notare i danni alla salute del cervello, ad esempio.
Ancora il 4 luglio 2018 la BERS, Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo ha approvato un prestito di 500 milioni di euro per la realizzazione del TAP, un’opera che, insieme a Poseidon dovrebbe essere il punto di approdo per gas proveniente da sud est eurasiatico ma anche dei paesi MENA. Una enorme rete di gasdotti, dunque, che dovrebbero confluire verso il Tacco d’Italia.


Tutto ciò è avvenuto malgrado il Ministro dell’Ambiente Costa avesse dichiarato inutile l’opera, data la caduta della domanda del gas in Italia. Quest’opera, che è l’ultimo tratto del Corridoio Sud del Gas, ha già ricevuto finanziamenti in passato da Banca Mondiale e da altre MDB, Banche Multilaterali di Sviluppo, arrivando ad un prestito che ammonta a oltre 6miliardi di euro. Secondo Bankwatch questo denaro è servito ad oliare la macchina della corruzione e a calpestare i diritti di agricoltori e comunità locali[20]. Un progetto mastodontico dipinto come parte della ‘Transizione Verde’ ma ancora sprovvisto di una valutazione sugli effetti climatici[21] da parte dell’Unione Europea mentre uno studio di Bankwatch Network[22] afferma che il rilascio di metano ed altre sostanze rende quest’opera peggiore di una centrale a carbone. 


Un’opera finanziata lautamente sia da BEI, da FMI e BM, come abbiamo visto, per la parte europea, sia da AIIB per la parte che percorre Turchia e Azerbaijan (Tanap) dove sono stati spesi 600 milioni di dollari[23]. Ma in questo progetto sono arrivati numerosi e ulteriori prestiti e finanziamenti da ogni parte: oriente, occidente, FMI o AIIB, poco cambia a parte, forse, il metodo. Tutto questo ha, sullo sfondo, gli accordi di Parigi, quelli della COP21 del 2015 su cui Francia e Germania hanno, recentemente, duettato contro il comune avversario e negazionista climatico, The Donald, pur essendo tra i maggiori fautori della rete di gasdotti e di attività estrattive nel Mediterraneo.



La storia insegna che, quali che siano gli intendimenti, le promesse, la narrativa, il Capitale alla fine, viene sempre attratto da forza lavoro a basso costo e, quindi, da rapporti sociali asimmetrici. La crescita della Cina è avvenuta non solo grazie ad acume finanziario e capacità di insinuarsi tra le crepe del capitalismo occidentale ma anche a costo di tremendi sacrifici della forza lavoro cinese. Nei 10 anni che hanno coperto il periodo a cavallo tra gli anni 90 e il nuovo millennio, i conflitti sociali dovuti alla richiesta di garanzie nel mondo del lavoro, sono cresciuti esponenzialmente da 78 a 800mila[24]. Una realtà molto lontana dalla ostentata retorica della ‘società armoniosa’.
Come, d’altra parte, è lontano l’Occidente dagli ideali di giustizia climatica e diritti umani propugnati che si pretende esportare all’estero.
La vicenda in divenire del Corridoio Sud del Gas, dimostra che la Cina gioca ad armi pari con le superpotenze occidentali e, come precedentemente ricordato, usando le regole del mercato, quelle stesse norme varate da FMI e BM basate sulla creazione continua di aree debitorie.



Con la Nuova Via della Seta, AIIB e FMI stanno dividendosi le aree di interesse. La Cina in gran parte si sta dimostrando disponibile ad affrontare mercati in luoghi del mondo ‘cleptocratici’, dominati da terribili e brutali guerre civili. Le banche cinesi si assumono rischi che in pochi, in occidente, prendono in considerazione. Scuole, ospedali e strade beneficeranno in parte la popolazione. Ma la regola è quella di contratti opachi dove alla fine, chi guadagna di più sono i cinesi[25].



Plundering e Land Grabbing, saccheggio ed esplorazione selvaggia dei territori a danno di ambiente e diritti sono al centro del dibattito per entrambe le parti in causa: non si salva nessuno. E’ il capitalismo neoliberista, bisognoso di aree debitorie, a vincere in un gioco di specchi che, attraverso la lente dell’ipocrisia, offrono all’opinione pubblica un’immagine sempre diversa da quella reale. Di certo, c’è un passaggio di consegne tra potenze egemoni a favore di un colosso che esibisce un volto rassicurante ma pratica una cultura estremamente iniqua e impermeabile ai richiami dell’etica, capace di ingegnerizzare esseri umani e di farcelo sapere a risultato ottenuto o di avviare programmi indirizzati ad un controllo capillare, orwelliano, della società.
Benvenuti in tempi interessanti, augura l’auspicio cinese.




[1] Giuliano Marrucci, ‘Cina Compact’ puntata Report del 31/10/2016 in:  http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-cf0a316d-5b3d-4958-862a-d14a38fcf9c5.html

[2] Vladimir Basov, ‘The Chinese scramble to mine Africa‘, 15 dic 2015, in: http://www.mining.com/feature-chinas-scramble-for-africa/

[3] Vladimir Basov, ‘The Chinese scramble to mine Africa‘, 15 dic 2015, in: http://www.mining.com/feature-chinas-scramble-for-africa/

[4] Vladimir Basov, ‘The Chinese scramble to mine Africa‘, 15 dic 2015, in: http://www.mining.com/feature-chinas-scramble-for-africa/

[5] Diego Angelo Bertozzi, ‘La Belt and Road Initiative. La Nuova Via della Seta e la Cina Globale’, pg.181, Ed. Mondadori, R.Emilia, 2018
[6] Nick Van Mead,  China in Africa: win-win development, or a new colonialism?’,  31 lugliol 2018 in: https://www.google.com/amp/s/amp.theguardian.com/cities/2018/jul/31/china-in-africa-win-win-development-or-a-new-colonialism
[7] https://www.nytimes.com/2015/04/06/opinion/china-steps-back.html
[8] Paolo Costa, ‘Puntare su Venezia perché l’Italia sia al centro delle Vie della Seta’, in Limes 4/2017, A chi Serve l’Italia.
[9] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-dilemma-della-politica-estera-cinese-11787
[10] https://www.nytimes.com/2015/04/06/opinion/china-steps-back.html

[11] Paritosh Bansal, ‘China's development push in poor countries worries non-profits, 26 gennaio 2018 IN: https://www.reuters.com/article/us-davos-meeting-rights/chinas-development-push-in-poor-countries-worries-non-profits-idUSKBN1FF1GF

[12] Ho-Fung Hung, ‘La Cina torna indietro‘, 5 aprile 2015, https://www.nytimes.com/2015/04/06/opinion/china-steps-back.html

[13] IBASE – ‘O FMI e o empobrecimento da America Latina’, 1985
[14] L.Wallach, M.Sforza, ‘WTO Tutto quello che non vi hanno mai detto sul commercio globale’; Milano, Feltrinelli, 2000.

[15] http://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Introduzione/204
[16] Istituto Brasileiro de Anàlises Sociais e Economica ,  “O FMI e o empobrecimento da America Latina”,  Brasilia, IBASE, 1985.

[17] Istituto Brasileiro de Anàlises Sociais e Economica ,  “O FMI e o empobrecimento da America Latina”,  Brasilia, IBASE, 1985
[18] I Diritti Speciali di Prelievo o DSP Special Drawing Rights, sono una speciale valuta ottenuta facendo la media del valore di alcune valute nazionali forti. Il DSP è stato creato con l’obiettivo di sostituire l’oro nelle transazioni internazionali.
[19] Jeremy Rifkin, ‘La Terza Rivoluzione Industriale. Come il potere laterale sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo’, Mondadori 2013

[20] Bretton Wood Project, ‘Development banks pump more money into Southern Gas Corridor, despite fresh concerns’, 24 luglio 2018, in: https://www.brettonwoodsproject.org/2018/07/development-banks-pump-money-southern-gas-corridor-despite-fresh-concerns/

[21] https://www.brettonwoodsproject.org/2018/04/cao-accepts-complaint-related-miga-guarantee-tanap/
[22] ‘Smoke and mirrors: why the climate promises  of the Southern Gas Corridor don’t add up’, gennaio 2018, https://bankwatch.org/publication/smoke-and-mirrors-why-the-climate-promises-of-the-southern-gas-corridor-don-t-add-up
[23] AIIB, ‘AIIB approves $600 million to support energy project of Azerbaijan’, 21 Dicembre 2016 https://www.aiib.org/en/news-events/news/2016/20161222_001.html
[24] Beverly J. Silver, Lu Zhang, ‘Cina: epicentro emergente del conflitto operaio mondiale?’, 19 novembre 2010, UniNomade - http://www.uninomade.org
[25] BBC, ‘China’s win win in Africa’ in: https://www.bbcworldnews.com/pages/ProgrammeFeature.aspx?id=106&FeatureID=736

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