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martedì 20 agosto 2019

Arafat: fasti e nefasti di un terrorista Nobel per la Pace. I conti svizzeri, la corruzione dell’OLP, la CIA





Chiara Madaro


A volte gli eroi al comando sono solo nella fantasia di chi ci vuole credere. Ma quando ogni velo scivola via, mostra realtà desolanti. 
E’ il caso di Yasser Arafat, nome di battaglia Abu Ammar, morto in una clinica di Parigi l’11 novembre del 2004.
Un personaggio il cui percorso, ancora oggi, fa discutere. Leader storico dell’Autorità Palestinese, un tempo nota come OLP, Organizzazione per la Libertà Palestinese, Arafat ha incarnato il classico personaggio che si fa scudo di un popolo intero e del potere di un’ideologia, per raggiungere obiettivi del tutto personali.  

La vastità di questi interessi è tale che possono essersi realizzati solo disponendo di alte coperture ad ogni livello malgrado la brutalità di un regime terrorista.
D’altra parte “(…) faceva parte del disegno che l'autorità palestinese fosse brutale, repressiva e corrotta – secondo il politologo Noam Chomsky -  questo è esattamente ciò che Israele e Stati Uniti volevano, ecco perché Arafat piaceva (…). E se Arafat rubava denaro europeo o la sua Autorità viveva in ville lussuose a Gaza mentre la popolazione moriva di fame, andava bene, purché facessero il loro lavoro, controllare la popolazione e assicurare che fosse stabilita una dipendenza neo-coloniale da un lato, dall’atro assicurarsi che quelli che contavano non fossero danneggiati”[1]
Un punto di vista confermato dalle evidenze nel 2013, quando Wiki Leaks ha pubblicato 1,7 milioni di cablogrammi del Dipartimento di Stato statunitense risalenti agli anni tra il 1973 e il 1976 e, finalmente, declassificati.
  I cablo fanno parte dei cosiddetti ‘Kissinger Cables’ e mettono in luce come Arafat ricoprisse un ruolo centrale nella strategia statunitense pensata per i paesi del Vicino Oriente. Il giornalista d’inchiesta Lee Smith ha avuto la pazienza di studiare quella documentazione e riportarne il contenuto. Secondo Smith: “I diplomatici statunitensi sapevano che Arafat era un terrorista e che era responsabile non solo della morte di israeliani, ma anche di altri diplomatici americani, come l'ambasciatore Cleo Noel, assassinato a Khartum nel 1973 su ordine di Arafat. Ma Washington ha trascurato quei fatti per vincere quello che percepiva, giustamente, come un gioco molto più grande: la Guerra Fredda. 
Henry Kissinger
Durante gli anni di Kissinger – continua Smith - ciò che contava di più in Medio Oriente per gli Stati Uniti era il Golfo Persico, a causa delle sue vaste risorse energetiche. Il Mediterraneo orientale era importante solo nella misura in cui costituiva un altro luogo di scontro con i sovietici. Di conseguenza, Kissinger vedeva gli israeliani come un alleato strategico in grado di sconfiggere i possedimenti sovietici, incluso l'Egitto, che dopo la guerra del 1973 passò, infatti, dal campo sovietico a quello americano. Ma il fatto che Israele fosse un prezioso alleato americano – conclude il reporter nella sua analisi - non significava che Washington avrebbe voltato le spalle a figure arabe in grado di servire gli interessi americani più grandi, contrastando le ambizioni regionali di Mosca. I cablo mostrano che gli americani desideravano avere Arafat dalla loro parte”[2].
Arafat era considerato motivo di equilibrio a causa della guerra civile in Libano (antica provincia siriana) dove i profughi palestinesi si erano riversati a causa delle persecuzioni israeliane tra il 1948 e il 1975[3] . La guerra del Libano, che durò tra il 1975 e il 1990, fu innescata dal timore della componente cristiana di passare in minoranza a causa della quantità di arabi palestinesi che si riversava nel paese. Si calcola che nel ‘75 vi fossero circa 300 mila palestinesi in Libano. Sapere che la Palestina era guidata da un leader carismatico che proteggeva gli interessi della patria, costituiva, per i cristiani, motivo per credere che, prima o poi, la componente araba avrebbe fatto ritorno nelle proprie case, nelle proprie terre, e gli equilibri si sarebbero ricostituiti.   
La second guerra Israeliana contro il Libano
Contemporaneamente, nel 1974, in seguito alla guerra del Kippur e all’invasione delle alture del Golan da parte di Israele, anche la Siria iniziò a cercare di ampliare la propria influenza sul Libano, mentre cresceva l’intolleranza del Libano contro Israele. Insomma, una vicenda complicata in cui tutti erano contro tutti. Le fronde non accennavano a placarsi per cui soprattutto gli Stati Uniti, che avevano fatto promesse a destra e a manca pur di assicurarsi una sorta di ‘diritto di primogenitura’ sulle riserve fossili di cui l’area in questione era ricca, intendevano porre fine all'attuale conflitto arabo-israeliano. Il timore che una marcata conflittualità potesse danneggiare il loro prestigio agli occhi degli alleati aveva a che vedere con la possibilità che questi, alla fine, avrebbero potuto invertire la rotta e firmare con Mosca. Kissinger e il suo Dipartimento di Stato credevano che la risoluzione di questo conflitto sarebbe stato ben visto dagli amici arabi e al tempo stesso avrebbe danneggiato i sovietici. In quest’ottica,  Arafat era il loro asso nella manica.
Ed è in questo quadro che si inserisce il viaggio a Beirut nel 1976 del Senatore del Maryland Charles “Mac” Mathias e il suo incontro con Yasser Arafat. In cambio Arafat voleva il supporto statunitense nei confronti del ‘concetto di ‘Autorità Nazionale’ Palestinese nella West Bank e nella striscia di Gaza, oggi controllate da Israele[4]
   L’obiettivo di Arafat era di realizzare un unico stato palestinese che comprendesse Cisgiordania e Gaza. Sebbene sia Israele che Giordania, ritenevano assurda la richiesta di Arafat, il Primo Ministro israeliano Rabin, in particolare, escludeva qualsiasi trattativa con Arafat. Quest’ultimo fu, comunque, esaudito e due decenni dopo l’OLP, effettivamente, viene riconosciuto come Autorità Nazionale.
Dai cables non risulta con chiarezza fino a che punto gli israeliani avessero compreso il gioco ma, secondo Smith, è certo che sapessero come il capo dell’intelligence di Abu Ammar, Ali Hassan Salameh, una delle menti del massacro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972, fosse una risorsa della CIA. La verità è che il cosiddetto Principe Rosso è stato molto più che significativo per le relazioni tra Stati Uniti e Arafat. In quanto loro intermediario, ricopriva un ruolo chiave e le sue funzioni istituzionali e militari, erano un simbolo rispetto alla natura della loro relazione.
D’altra parte per gli Stati Uniti, la sussistenza di un regime terrorista con cui fare accordi, non costituiva un ostacolo insormontabile: le guerre nel Mediterraneo e nel Vicino Oriente non erano nulla in confronto alla guerra nucleare totale che si prospettava in quegli anni. Anche dopo il massacro di Maalot del maggio 1974, in cui membri del Fronte democratico per la liberazione dei palestinesi uccisero 25 ostaggi israeliani, 22 dei quali bambini, l’ambasciatore americano Goodley commentava come, davanti a quella terribile vicenda, sarebbe stato prioritario capire cosa fosse in gioco nello scacchiere globale.   

E’ per questo che le forze statunitensi avevano tentato di portare i fedayyn più estremisti, verso posizioni ‘moderate’, quindi non azioni violente ma dialogo e trattative di tipo politico.
D’altra parte la Dottrina Truman si basava sul concetto di ‘guerra perenne’, riconcettualizzato dal successore Eisenhower in ‘complesso militare-industriale’, ricorda il leggendario cronista d’inchiesta statunitense Seymour Hersh[5].
Un personaggio, però, che alla lunga è risultato indigesto anche a chi lo aveva sostenuto in passato (Saddam). Già nei giorni precedenti il decesso si parlava di un possibile attentato alla vita del leader palestinese che sembrano essere confermate dai risultati di un’indagine pubblicata nel 2013 da Al Jazeera e condotta in Svizzera. Secondo le fonti, i resti di Arafat contenevano quantità insolitamente elevate dell'isotopo radioattivo polonio 210. All’epoca dei fatti, gli scienziati che redassero il rapporto tennero a sottolineare come i risultati cui erano giunti non erano conclusivi, ma "avanzano moderatamente la proposta secondo cui la morte [di Arafat] fu la conseguenza dell'avvelenamento da Polonio-210". Curiosa moderazione dato che si parla di livelli 18 volte superiori rispetto al normale[6].
  Senza contare quanto riferito dal medico personale del leader palestinese, il dott. Ashraf al-Kurdi,  secondo il quale nel sangue di Arafat era presente il virus dell’HIV sebbene non fosse morto di AIDS. La notizia non ebbe, all’epoca, ulteriori approfondimenti: l’intervista che il dott. Al-Kurdi stava rilasciando ad Al Jazeera, fu bruscamente interrotta, secondo quanto riportato dal giornale israeliano on line Haaretz[7].
Una delle possibili cause di un eventuale attentato riguardava i molti nemici che, ormai, si contavano anche tra le fila di chi lo aveva storicamente sostenuto.
Il Mossad israeliano, la CIA, il presidente siriano Bashar al-Assad (il cui padre, Hafez, disprezzava Arafat), e persino i suoi più stretti collaboratori, lo vedevano, ormai come un ostacolo alla pace o al mantenimento di equilibri seppur formali nel Vicino Oriente. Perfino a Saddam Hussein, che aveva contribuito economicamente e generosamente con le battaglie del leader, non piaceva più. Nei suoi ultimi anni di vita, Saddam si riferiva nei confronti di Arafat con toni offensivi e sprezzanti[8].
Meno prudente di Al Jazeera è l’analista Chossudowsky[9], fondatore di Global Research, il quale parla apertamente di omicidio.
Secondo Chossudowsky esisteva, nei servizi americani, un’area dedicata alle operazioni extra-legali, che operava in maniera del tutto autonoma senza riferire ad alcuno le operazioni in atto. “Non riferiscono a nessuno – afferma Chossudowsky - tranne ai tempi di Bush-Cheney, quando hanno riferito direttamente all'ufficio di Cheney”. Neanche il Congresso ha una capacità di supervisione su quanto viene deciso da quest’ala particolare che opera in ogni parte del mondo, nel nome dell’ignaro popolo americano e della pace. Non si tratta, in realtà di fatti legati al passato.  “In recenti sviluppi, a seguito dell'approvazione del Congresso degli Stati Uniti, il presidente può ordinare l'assassinio "legale" di un cittadino americano o di uno straniero, negli Stati Uniti e all'estero, teoricamente come parte della "Guerra globale al terrorismo"  - afferma l’analista - L'assassinio segreto di leader stranieri è parte integrante di quella che viene eufemisticamente chiamata "politica estera degli Stati Uniti".  
 Arafat era considerato un 'ostacolo per la pace'

Ma la decisione di eliminare il leader arabo arrivò da Israele, secondo la ricostruzione di Global Research: “Nel 2003, il gabinetto israeliano per gli affari sulla sicurezza politica espresse "la decisione di rimuovere Arafat come ostacolo alla pace". Ma non menzionò quando sarebbe stato eseguito l'assassinio di Arafat: "sceglieremo il giusto modo e il momento giusto per uccidere Arafat". La decisione del governo israeliano fu anche oggetto di un dibattito in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di una mozione a condanna della decisione di Israele di assassinare Arafat. Tale decisione è stata approvata ufficialmente dagli Stati Uniti, che hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, conclude[10].
Ma la morte non è servita ad apporre un punto finale alla vita e alle opere di Yasser Arafat.
Un anno prima dell’improvvisa e misteriosa malattia, iniziò a diffondersi la notizia riguardante la deviazione di denaro pubblico su un conto privato svizzero ( Lombard Odier Bank di Ginevra) da parte di Arafat. Si parla di 300 milioni di $ appartenenti all’Autorità palestinese, un conto che, successivamente alla fuga di notizie, fu tempestivamente chiuso e di cui non si ha traccia. La notizia fece seguito ad una ulteriore e singolare divulgazione da parte del Fondo monetario internazionale, avvenuta nel settembre 2003, secondo cui Arafat aveva deviato su conti privati oltre 560 milioni di sterline di fondi dell'Autorità palestinese dal 1995 al 2000, mentre in un documentario della BBC si iniziò a parlare degli ingenti fondi (50mila $ al mese) versati dall’Autorità a beneficio di milizie armate di terroristi suicidi incaricati di attaccare obiettivi israeliani[11].
Nello stesso periodo anche l’Unione Europea iniziò a porsi degli interrogativi. "Tra il 2002 e il 2003, l'UE ha pagato 10 milioni di euro ( circa 1,5 miliardi di euro in 10 anni) all'Autorità palestinese senza alcun controllo", ha affermato Armin Laschet, all’epoca dei fatti, membro del Parlamento europeo dell'Unione Democratica Cristiana e copresidente della commissione di sorveglianza responsabile per gli aiuti palestinesi. ''[12].  
Inevitabile l’accusa di Israele secondo cui il denaro generosamente offerto dall’Unione Europea e destinato al vessato popolo palestinese, fosse, in realtà, stato utilizzato per finanziare il terrorismo ai danni di Israele. Una beffa se si pensa che, proprio Tel Aviv contribuiva anch’essa economicamente con la Palestina: in seguito agli zoppicanti[13] accordi di Oslo firmati alla Casa Bianca nel 1993 si era stabilito che Israele avrebbe incassato le tasse di vendita sui beni acquistati dai palestinesi e trasferito quei fondi al tesoro palestinese. 
  E non poteva, certo, mancare un po’ di peperoncino italiano. Nel 2018 l’Espresso[14] pubblica in anteprima mondiale il contenuto dei diari di Arafat, 19 volumi scritti a partire dal 1985 e terminati con l’improvvisa malattia, in ottobre 2004, quando lasciò Ramallah per essere ricoverato in un ospedale di Parigi dove morì di lì a poco. Dai diari si apprende, ad esempio, che in cambio di un riconoscimento pecuniario, Arafat confermò davanti ai giudici di aver ricevuto dei finanziamenti da Berlusconi. All’epoca dei fatti il padre di Forza Italia era sotto processo per finanziamento illecito al Partito Socialista di Craxi. Non mancano neppure dettagli sulla trattativa con Andreotti in seguito al dirottamento dell’Achille Lauro per mano di 4 terroristi palestinesi. In base agli accordi, Andreotti consentì al terrorista Abu Abbas di fuggire in Tunisia dalla Bulgaria. Dagli scritti autografi Andreotti, in particolare, viene descritto come il mediatore occulto tra OLP e USA. Curioso il particolare, ma forse neanche tanto, considerando l’evoluzione di altre dittature nel mondo, secondo cui non era Arafat a decidere le strategie militari. Lui veniva semplicemente informato di cosa sarebbe accaduto e, invariabilmente, benediceva i vari atti terroristici. Lasciava ad altri il ‘divertimento’ dello sfogo brutale. Un personaggio che, alla fine, diventa vittima di se stesso e quello che rappresentava.
Sotto accusa anche la moglie Suha, accusata di riciclaggio dalla gendarmeria francese la quale avrebbe appurato la ricezione di oltre 1 milione di $, 100mila dollari al mese, sui suoi conti personali svizzeri la cui fonte rimane ancora non chiarita[15].
Un colpo ai danni della credibilità di un leader e di un movimento che si dice nazionalista in un paese stremato da anni di guerre.
Salam Fayyad
Un colpo che ha permesso alla Banca Mondiale di entrare nel cuore finanziario dell’Autorità. La fuga di notizie ha, ovviamente, scatenato la folla contro il suo eroe e la corruzione del regime, per cui Arafat si è trovato costretto a nominare ministro delle finanze il tecnocrate Salam Fayyad, ex funzionario della Banca Mondiale, con l’obiettivo di risanare il libertinaggio finanziario dell’Autorità.  
Forse qualche leaks, più in là, svelerà come mai né i più potenti servizi di intelligence internazionali, né i più severi controllori finanziari si fossero accorti prima di dove andasse a finire quel denaro.
Rimangono i molti interrogativi di questa vicenda. Uno su tutti: fino a che punto è giusto abbandonarsi a quell’istinto infantile della guerra per bande e parteggiare per questa o quella fazione? Che senso ha, se gran parte di quello che avviene negli arcana imperii contraddice le nostre credenze? Che senso ha continuare a spendere energie a pensare ‘contro’ qualcosa o qualcuno piuttosto che a capire dove sia il guasto e porvi, finalmente, rimedio?



[6] Michel Chossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781

[7] Danny Rubinstein , 12 Ago 2007, ‘Arafat's Doctor: There Was HIV in His Blood, but Poison Killed Him’, in: https://www.haaretz.com/1.4961243

[8] Mark Perry, “A Martyr Unmartyred”, 8 novembre 2013, in:
[9] Michel Cossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[10] Michel Cossudowsky, ‘The Assassination of Yasser Arafat had been Ordered by the Israeli Cabinet’, 7 marzo 2013, Global Research, in: https://www.globalresearch.ca/the-assassination-of-yasser-arafat-had-been-ordered-by-the-israeli-cabinet/31781
[11] Inigo Gilmore, Arafat 'diverted $300m of public money to Swiss bank account', 09 Nov 2003, in:
[14] Lirio Abbate, “Esclusiva mondiale, i diari segreti di Arafat: Craxi, Andreotti e i fondi neri di Berlusconi” , 2 febbraio 2018, In: http://espresso.repubblica.it/attualita/2018/02/02/news/esclusiva-mondiale-i-diari-segreti-di-arafat-craxi-andreotti-e-i-fondi-neri-di-berlusconi-1.317886

venerdì 16 agosto 2019

Il petrolio del Golan. USA, Israele, Siria: le relazioni pericolose.



Chiara Madaro

Il mese di settembre, negli ultimi anni, è iniziato nel segno del fuoco, nel Mediterraneo, con esercitazioni congiunte sino-russe al largo della Siria.

Tra il 17 e il 21 maggio 2015 Cina e Russia hanno svolto le prime esercitazioni militari congiunte nel Mediterraneo. Le manovre, note con il nome di “Joint Sea 2015” hanno coinvolto una flotta di 9 navi e hanno fatto seguito a quelle inaugurate nel Pacifico dal 2012. L'iniziativa è, probabilmente, una conseguenza dei maggiori interessi della Cina nei confronti di Africa e Medio Oriente ma anche di rapporti internazionali più tesi[1].
Un’esperienza ripetuta più di recente con l’operazione Vostok-2018, tra l’11 e il 15 settembre, questa volta molto più corposa: 300mila uomini e mille mezzi d’aviazione impegnati nella regione di Trans-Bajkal preceduta da un’ulteriore esercitazione dall’1 all’8 settembre ancora una volta nel Mediterraneo e hanno coinvolto 26 vascelli della marina russa davanti alle coste siriane e 34 velivoli.
 Un’area calda dove è stata presente anche la marina americana nelle due settimane precedenti. Esercitazioni che cementano le relazioni sino-russe e che offriranno all’esercito cinese l’opportunità di attingere dall’esperienza militare russa. La Cina, infatti, sebbene registri maggiori spese in campo militare rispetto alla ex Unione Sovietica, dispone di minore esperienza sul campo[2].   
Le manovre sono state accompagnate da successive esercitazioni dell’esercito statunitense, attestato nell’entroterra, proprio in una zona infestata da ribelli che si oppongono al governo siriano. L’accusa avanzata dai russi è che gli Stati Uniti insieme a Francia e Regno Unito stiano esercitando i ribelli (o i terroristi) e organizzando azioni provocatorie. 

E, infatti, in un silenzio-stampa assordante, lo stesso 8 settembre 2018, ultimo giorno di esercitazioni sino-russe, con l’aviazione e la marina degli storici avversari ancora nei paraggi, gli Stati Uniti sganciano bombe al fosforo bianco su un villaggio della Siria orientale. Si tratta di munizioni vietate da un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra del 1949. Lo ricorda in una nota Putin il quale, alleato della Siria, qui ha investito gran parte della sua politica estera. E’ in Siria che si cementa e, in gran parte, si gioca il patto d’acciaio tra Israele e Stati Uniti. La Siria, bersagliata anche da Israele, rappresenta il terreno migliore per combattere l’Iran, considerato a pari merito nemico sia da Israele che da Stati Uniti. Qui, in passato, Israele offriva segretamente supporto ai ribelli siriani che occupavano le alture del Golan[1], un’area di interesse strategico per gli Stati Uniti che stanno svolgendo test finalizzati all’estrazione di petrolio

Le perforazioni sono iniziate nel giugno 2016 e, tra gli investitori più noti della società petrolifera americana Genie Energy, ci sono alcuni degli speculatori della guerra siriana, Rupert Murdoch, Dik Cheney (ex vice presidente degli Stati Uniti), Rotshild e James Woolsey (ex capo della CIA)[2].
Secondo Robert Kennedy Jr, dovremmo guardare oltre la conveniente spiegazione della religione e dell’ideologia e concentrarci sull’indice accusatore che la storia punta in merito alla relazione tra petrolio, terrorismo, militarismo, imperialismo che, ormai, lambisce anche le nostre coste[3].

“I leader politici dell’Isis e i suoi strateghi stanno lavorando allo scopo di provocare un intervento militare  che, sanno per esperienza, inonderà i loro ranghi di volontari, soffocherà le voci moderate e unificherà le forze dell’Isis contro l’America”[4], dice ancora Robert Kennedy, non sapendo, forse, che i leaks di Assange hanno svelato al mondo come i finanziamenti nei confronti dell’Isis, giungano in maniera bipartisan dagli stessi Stati Uniti. Oppure, chissà, suggerendo che i conflitti vengono generati da forze che agiscono in funzione di interessi finanziari che raramente collimano con quelli dei popoli.
 Ma sul petrolio ha ragione. Attualmente l’Afek, una filiale appartenente alla Genie Energy Ltd, sta perforando 10 pozzi sperimentali su un’area di 396 chilometri quadrati. Dal febbraio 2015, la società di perforazione sta cercando petrolio in una zona di 39.500 ettari a sud di Katzrin sulle alture del Golan. Ad oggi, la società ha completato la perforazione in 5 su 10 siti consentiti. Per determinare come procedere e per analizzare i risultati ottenuti, Afek ha assunto la società di geofisica americana Miller e Lents, Ltd.
Israele, intanto, ha rivendicato sovranità sulle alture del Golan e denunciato l’illegittimità delle azioni nordamericane: l’accesso al petrolio del Golan, garantirebbe ad Israele l’indipendenza energetica per i prossimi 100 anni.
Un braccio-di-ferro che si ripete da 70 anni:
 “La CIA ha iniziato la sua intromissione attiva in Siria nel 1949, appena un anno dopo la creazione dell’agenzia – Ricorda Robert Kennedy Jr. -  I patrioti siriani avevano dichiarato guerra ai nazisti, espulso i loro dominatori coloniali francesi e realizzato una fragile democrazia laicista sulla base del modello americano. Ma nel marzo del 1949, il presidente democraticamente eletto della Siria, Shukri al-Kuwaiti, esitò ad approvare la Trans Arabian Pipeline, un progetto americano destinato a collegare i giacimenti petroliferi dell’Arabia Saudita verso i porti del Libano attraverso la Siria. 

Nel suo libro, Legacy of Ashes , lo storico Tim Weiner racconta che per rappresaglia, la CIA organizzò un colpo di stato. In sostituzione di al-Kuwaiti la CIA mise un truffatore di nome Husni al-Za’im. Al-za’im ebbe appena il tempo di sciogliere il parlamento e approvare l’oleodotto americano prima che i suoi connazionali lo deponessero, 14 settimane dopo il suo insediamento”[5]. Una storia che si ripete più di recente. Ancora Kennedy su Politico fa risalire il conflitto armato in Siria al rifiuto di Bashar Assad di consentire il passaggio del gasdotto dal Quatar verso l’Europa. Dunque non in seguito alla Primavera Araba nel 2011 ma nel 2009, quando, appunto, il Quatar ha proposto di costruire il gasdotto che doveva attraversare Arabia Saudita, Giordania, Siria e Turchia[6].
E’ quello che succede a chi si frappone tra gli Stati Uniti e i suoi obiettivi petroliferi. Cosa dobbiamo aspettarci per la Trans Adriatic Pipeline? Forse un film che già stiamo vivendo.
  In attesa di trovare risposte, Trump a marzo ha fatto la mossa del cavallo dichiarando di riconoscere la sovranità degli amici israeliani sul Golan. L’annuncio è avvenuto su Twitter, consuetamente scavalcando qualsiasi forma di diplomazia su questioni estremamente delicate. E da Twitter Netanyahu ha ringraziato. Una mossa non apprezzata dai diretti interessati: Damasco rivendica il legittimo possesso di quei territori abusivamente occupati da Israele nel 1967 durante la guerra dei 6 giorni. Secondo la Siria, le affermazioni di Trump costituiscono un’aperta violazione delle risoluzioni internazionali elaborate in merito a questa storica vicenda. Di contrappunto anche i commenti di Russia e Turchia unite da comuni interessi nel mercato energetico europeo.   

Nel 2013, infatti, il corridoio sud del gas è stato approvato dalle autorità europee come progetto di interesse comunitario (PCI) per favorire la diversificazione delle fonti da cui l’Europa si approvvigiona. Sebbene l’intenzione dichiarata sia di rendersi più autonoma dalle riserve russe, all’investimento di circa 45 miliardi di dollari partecipa anche la russa Lukoil. Non solo: più recenti accordi prevedono, in futuro, proprio di attingere al gas russo attraverso il Turkish Stream e l’East-Med Stream. Il 24 gennaio 2017 a Vienna, durante la Conferenza europea del gas, l’amministratore delegato di Gazprom Alexander Medvedev ha annunciato che si sta discutendo la possibilità di utilizzare i gasdotti Poseidon e Trans Adriatic Pipeline per esportare il gas verso l’Europa[7].
La notizia, oltre a rivelare la concreta possibilità che l’hub salentino riceverà gas non solo dall’Asia ma anche dal Mar Caspio, svela rapporti complessi che hanno in comune l’urgenza di assicurarsi il controllo sulle risorse energetiche.
Rimane l’insostenibile leggerezza del Tycoon che, in un sol colpo, ha liberato energie esplosive. Una volta abbandonato il campo, è iniziato uno scambio di ‘gentilezze’ tra Siria, Iran e Israele.
In fin dei conti, fin dagli anni di Nixon, è su questo che si regge la coalizione delle armi e del petrolio: quel fine meccanismo in funzione del quale i conflitti nei paesi produttori di petrolio, sono in grado di innalzare i profitti degli stessi i quali saranno in grado, quindi, di acquistare quantità sempre più elevate e sofisticate di armamenti aumentando i profitti dell’industria bellica.





[1] https://www.wsj.com/articles/israel-gives-secret-aid-to-syrian-rebels-1497813430
[3] https://www.ecowatch.com/syria-another-pipeline-war-1882180532.html
[4] https://www.ecowatch.com/syria-another-pipeline-war-1882180532.html
[5] http://www.vietatoparlare.it/iniziati-test-lestrazione-del-petrolio-del-golan-la-societa-incaricata-azienda-americana/
[6] https://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-10-19/siria-dietro-conflitto-l-eterna-guerra-le-pipeline-161032.shtml?uuid=ADBvyXfB


martedì 13 agosto 2019

Antisiniosmo vs antisemitismo e le trappole dell'imperialismo dal volto umano






Chiara Madaro

Il ruolo degli intellettuali e delle scienze umanistiche, alla berlina in quanto inutili e improduttive, hanno, invece, una funzione fondamentale nel disperdere le brume cognitive accumulate nelle ‘congiunzioni astrologiche’ contemporanee.
Diventano indispensabili alcuni focus su realtà che, viaggiando su banda larga, appaiono cristallizzate favorendo la creazione di infiammazioni culturali, generando incomprensioni, alimentando confusione. Molte di queste realtà, invece, evolvono in funzione del contesto geopolitico in cui si trovano. La cronaca di ogni giorno assolve alla funzione di mostrarci lo stato acuto di quella realtà, ma non le radici e le risorse  cui attinge per crescere in superficie. A questo servono gli intellettuali i quali, per definizione, dipanano i garbugli della mente. 
E’ il caso della confusione generata nel corso dei decenni intorno ai concetti di antisemitismo e antisionismo. Questi termini vengono spesso usati come se avessero un significato intercambiabile.

Prof. Sai Englert, Sussex University
Lo storico e accademico Sai Englert[1] spiega che per antisemitismo si intende l’atteggiamento o gli atti di offesa ai danni di persone ebree, solo per il fatto di essere ebree usando, magari, luoghi comuni come l’avarizia, come il fatto che governino il mondo o le banche. Al contrario si parla di antisionismo in presenza di una ideologia politica che, come suggerisce il nome, si oppone al Sionismo.
Il Sionismo è, infatti, un movimento politico nato in un momento drammatico per l’Europa e per il mondo intero, tale per cui si pensò che l’unico modo che gli ebrei avevano per sfuggire all’antisemitismo, fosse costruire un proprio Stato. Questo Stato fu costituito in Palestina a spese del popolo che già viveva in quelle terre, i palestinesi. Nel 48 iniziarono le espulsioni di oltre 700mila palestinesi e la distruzione di oltre 400 villaggi. Si tratta di ingiustizie che si perpetrano ancora oggi con l’espansione degli insediamenti nella West Bank, il blocco della Striscia di Gaza, o attraverso le oltre 60 leggi indirizzate specificamente ai cittadini palestinesi di Israele. Questi interventi militari sono tutti ancora operanti nel nome del Sionismo.

Un giovane ebreo ortodosso antisionista durante una manifestazione a Londra
Dunque, cosa chiede l’antisionismo? Che ogni abitante della Palestina, ebrei, musulmani, cristiani, palestinesi e non, abbiano i medesimi diritti, quale che sia la propria religione, razza o etnia. E’ una richiesta che sia il movimento Sionista che lo Stato di Israele, continuano a rifiutare.
Sfortunatamente oggi l’antisionismo è confuso con l’antisemitismo. Ma dovrebbe essere chiaro che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro. Se il primo rifiuta l’idea di uno stato suprematista etnico o religioso in Palestina, il secondo odia gli ebrei per il fatto di essere ebrei. Ma confondere i piani di antisemitismo e antisionismo, comporta una serie di assunzioni che non dovrebbero mai essere accettate. In primo luogo che ogni ebreo è sionista o che i sionisti parlino per esprimere il pensiero di tutti gli ebrei. Un’idea che per lo storico Englert è profondamente razzista. Infatti essa assume che un intero gruppo di persone possa essere semplificato sotto un’unica banda ideologica. Niente di più lontano dalla realtà. Israele non rappresenta il punto di vista di tutti gli ebrei.
Molti ebrei nel mondo sono antisionisti per motivi politici o religiosi, mentre altri semplicemente conoscono molto poco a riguardo e non hanno un’opinione. In secondo luogo l’idea che tutti i sionisti siano ebrei. Ancora una volta nulla di più lontano dalla realtà. Ad esempio, ci sono molti cristiani sionisti, soprattutto negli Stati Uniti, mentre molti politici o partiti politici in occidente, sono sionisti.



Non ha nulla a che vedere con l’ebraismo ma molto a che vedere con la politica estera e con la stretta alleanza tra i loro paesi con Israele.
Infine, la sovrapposizione tra le due idee, spesso assume che il sionismo colpisca solo gli ebrei. Questo approccio, spesso ripetuto nel dibattito corrente, cancella il fatto che la principale vittima del movimento sionista è stato e continua ad essere il popolo palestinese. Il rifiuto palestinese del sionismo, la richiesta di uguali diritti e il desiderio di poter tornare alle case da cui sono stati espulsi, non ha nulla a che vedere con l’ebraismo o gli ebrei in ogni caso. Invece ha tutto a che vedere con l'opposizione al progetto di insediamento coloniale che continua a togliere possesso e opprimere i palestinesi nelle proprie terre.


L’antisionismo è, prima di ogni altra cosa, una forma di solidarietà con le richieste di un popolo colonizzato che continua a lottare per la sua libertà. Vi è un semplice eppure potente principio: che gli stati non saranno liberi finchè tutti non otterranno di essere liberi. In questo senso la battaglia contro l’antisemitismo e la battaglia contro il sionismo sono la stessa cosa. Sono entrambe battaglie contro oppressione e razzismo, contro la supremazia etnica. In una parola contro l’ingiustizia. Secondo il vecchio slogan: l’antisemitismo è un crimine, l’antisionismo un dovere, conclude il Prof.Englert.
Riflessioni che oggi appaiono urgenti sebbene già alcuni decenni fa abbiano avuto tribune e interpreti preziosi. Come il leader burkinabé Thomas Sankara il quale, in un discorso alle Nazioni Unite il 4 ottobre 1984, prese posizioni nette contro l’arroganza militare israeliana, ponendola sullo stesso piano della deplorevole esperienza sudafricana dell’Apartheid.  

Nelson Mandela, movimento anti Apartheid
Riflessioni che, come ricordava l’accademico Englert, appartengono anche a personalità intellettuali di spicco, come il linguista e politologo ebreo Noam Chomsky, cui nel 2010 è stato negato il visto dalla autorità israeliane a causa delle posizioni antisioniste assunte negli anni. 
Chomsky nota che, in effetti, negli anni 70 e 80 l’establishment israeliano guardava con attenzione a quanto accadeva in Sudafrica con l’Apartheid. L’obiettivo consisteva nel riproporre anche in Palestina il medesimo modello. In quegli anni, ricorda l’intellettuale, il Sudafrica era alleato di Gran Bretagna e Stati Uniti che guardavano a Mandela e al Congresso nazionale africano come ad una delle maggiori organizzazioni terroristiche del mondo.
“È facile (e nemmeno gratificante) criticare e condannare i crimini degli altri. È un po' più difficile guardarsi allo specchio e chiedersi cosa si stia facendo, perché, di solito, non è un’esperienza molto carina. E se abbiamo una pur minima decenza, proveremo a fare qualcosa al riguardo” – dice Chomsky nel corso di un’intervista[2].
Il linguista e politologo ebreo americano Noam Chomsky
Chomsky critica i tentativi di chi tenta di chiarire al mondo come non esista differenza tra antisemitismo e antisionismo. Un tentativo che ha l’evidente proposito di zittire chiunque abbia uno sguardo critico in merito alle politiche imperialiste statunitensi su territori ricchi di fonti di energia fossile. Mettere sullo stesso piano antisionismo e antisemitismo consentirà, infatti, di partire all’attacco delle menti più critiche accusandole di nazismo e quindi zittendole. Per Chomsky, d’altra parte, la cosiddetta questione israelo-palestinese dovrebbe essere chiamata per quello che è, ovvero una questione USA/Israele contro la Palestina. Una storia in cui è coinvolto anche il Regno Unito in quanto partner privilegiato degli Stati Uniti. 

Così come, “(…) tecnicamente, la lobby ebraica, in realtà, non è una lobby ebraica, è una lobby filo-israeliana. Una parte sostanziale della lobby è costituita da fondamentalisti cristiani che negli Stati Uniti sono una forza molto importante. Gli Stati Uniti sono una delle culture più fondamentaliste del mondo”, afferma Chomsky.
Per questo, rispetto al tema in oggetto, è possibile rintracciare personaggi che incarnano il fondamentalista cristiano antisemita che è contemporaneamente un forte sostenitore dell’oppressione e delle atrocità israeliane. Più che una contraddizione è un potere politico vero e operativo. Il motivo, osserva Chomsky, come ogni cosa in quell’area del mondo, è il petrolio. 
Palestinesi lanciano pietre con la fionda oltre un muro divisorio
La sproporzione di quanto avviene ai danni del popolo palestinese viene rivelata attraverso un racconto apparso sulla stampa e riguardante i giorni dell’Intifada nel settembre 2000. Nei primi giorni, Israele esplose un milione di proiettili. Eppure il fuoco alla miccia fu dato dal lancio di pietre di alcuni ragazzini palestinesi. Chomsky racconta di un funzionario palestinese, il quale per mostrare ad un visitatore europeo come funzioni da quelle parti, fece esplodere un colpo dalla sua guardia del corpo: seguirono due ore di mitragliate. Nei giorni dell'Intifada il rapporto tra i decessi fu di 20:1, 75 palestinesi su 4 soldati israeliani. Gli Stati Uniti fornirono, poi elicotteri da guerra che vennero usati contro obiettivi civili. Questo il bilancio di una pesante risposta al lancio di pietre.
“Gli Stati Uniti, denuncia Chomsky, hanno reagito ufficialmente. Il 3 ottobre 2000, l'amministrazione Clinton ha fatto il più grande affare in 10 anni inviando nuovi elicotteri militari in Israele, insieme ad altre munizioni per gli elicotteri Apache Attack (…) Non è che non sapessero per cosa li stessero usando, lo si poteva leggere sui giornali.  
Le violenze hanno avuto delle escalation anche in anni più recenti

 Li stavano usando per attaccare e uccidere civili. Ma avevano bisogno di più armi perché un milione di proiettili nei primi giorni non era abbastanza, quindi dovevamo inviare loro elicotteri e missili d'attacco”, afferma ironicamente  e puntando l’indice anche contro gli alleati, rei di non aver alzato un dito per arrestare l’eccidio.
D’altra parte, per il politologo, Israele altro non è se non un ramo del Pentagono, un esercito con uno Stato. Un esercito che, tatticamente sceglie le forze aeree per attaccare più efficacemente i civili e fiaccarne la controffensiva o la capacità di difesa. Polemicamente dice: “Una volta che gli Arabushi (termine ebraico per ‘negri’) vengono abbattuti e non alzano più la testa il politico parlerà dal palco della cosiddetta ‘diplomazia’”.
Questa foto rappresentò la 2^Intifada
Si deve avere il coraggio di guardarsi allo specchio, uno sforzo non di poco conto per chi ha creduto nel progetto di Israele assistendo ad una imprevista trasformazione in senso imperialista.
Una posizione che ha compromesso le relazioni con i luoghi natii per cui nel 2010 gli è stato negato l’accesso in Israele[3].
Non si tratta di posizioni isolate: “Siamo storici ebrei americani ed è per questo che ci siamo lasciati il sionismo alle spalle”[4], affermano due accademici sul giornale ebraico on line Haaretz.
“Quando mi è stato chiesto di partecipare come delegato alla piattaforma progressista Hatikva durante il Congresso sionista mondiale del 2010, ho incontrato il mio personale Rubicone, racconta la Prof.ssa Diner, era la linea che non potevo oltrepassare”. In ballo c’era la richiesta di firmare il ‘Programma di Gerusalemme’, una dichiarazione di principi in cui viene affermata la centralità dello Stato di Israele e di Gerusalemme come capitale del popolo ebraico, si nega la diaspora, e questo comporta la fine di una vita da ebrea fuori dalla patria israeliana.  

Il documento chiede anche di volere un rafforzamento dello Stato di Israele ebreo e sionista. “(…) la singolare insistenza su Israele come stato ebreo e sionista mi ha fatto capire che, almeno alla luce di questo documento, non potevo più definirmi sionista. Gli ebrei costituiscono una razza o un'etnia? Uno stato ebraico significa uno stato razziale?” osserva Diner secondo la quale, l’opera di omogeinizzazione dell’azione sionista ha decretato la morte per una gran quantità di culture ebraiche. Il sionismo socialista che ancora nei primi anni 70 ha costituito la base intellettuale per molti giovani ebrei è, nel corso degli anni, radicalmente cambiato per virare decisamente a destra, su posizioni sempre più estreme, colonialiste e razziste, occupando in maniera sempre più violenta i territori già abitati dai palestinesi.
 Del medesimo avviso la Prof.ssa Marjorie Feld. Come molti ebrei, ancora negli anni 80, pensava che l’unico modo per proteggere la cultura ebraica in un mondo fondamentalmente razzista, fosse lo Stato di Israele. Negli anni dell’università, lo scontro con le prime critiche al sionismo, soprattutto in ambienti di sinistra. Il sionismo veniva vissuto come qualcosa di razzista, colonialista e militarista. Prendere coscienza della realtà ha permesso l’emersione di una contraddizione fondamentale: “Come poteva Israele essere l'antidoto al genocidio quando era il prodotto dell'imperialismo e della pulizia etnica?”.
Ancora attuale l’invito del Presidente Sankara a ragionare e trovare soluzioni condivise “(…) sui problemi all'ordine del giorno, che costituiscono la tragica trama di eventi che dolorosamente rompono le basi del mondo alla fine del ventesimo secolo. Un mondo in cui l'umanità si trasforma in un circo, lacerato dalle lotte tra i grandi e i meno grandi, scosso da bande armate, sottoposto a violenza e saccheggi. Un mondo in cui le nazioni, eludendo la giurisdizione internazionale, comandano i gruppi fuorilegge, vivono di rapine e organizzano traffici ignobili, con il fucile in mano”. 





[2] Noam Chomsky, ‘Antisemitismo, sionismo e palestinesi’, venerdi 11 ottobre 2002, intervista in collegamento Skype registrata da dalla Scottish Palestine Solidarity Campaign, Peace & Justice Center. In: https://www.variant.org.uk/16texts/Chomsky.html


[3] Haaretz Editorial, “Declaring War on the Intellect - Israel and Noam Chomsky”, 18 maggio 2010, in: https://www.haaretz.com/1.5121971
[4] Hasia Diner, Marjorie N. Feld, We’re American Jewish Historians. This Is Why We’ve Left Zionism Behind”, 1 agosto 2016, in: https://www.haaretz.com/opinion/were-american-jewish-historians-this-is-why-weve-left-zionism-behind-1.5418935